Che cosa dice la proposta di legge europea sull’efficienza energetica degli edifici

In Europa gli edifici consumano il 40% dell’energia, e questo causa il 36% delle nostre emissioni di gas serra. Per questo è in lavorazione una legge che modifica la precedente direttiva sulle prestazioni energetiche degli edifici e introduce nuove regole per accelerare le ristrutturazioni.


Il 14 marzo il Parlamento europeo ha approvato il testo di una proposta di legge che punta ad aumentare l’efficienza energetica della maggior parte degli edifici dell’Unione europea. Il testo della direttiva è stato approvato dal Parlamento con 343 voti a favore, 216 contro, e 78 astensioni, ma è ancora lontano dal diventare una legge. Il testo ora sarà discusso col Consiglio europeo e con la Commissione europea. In caso di accordo, i singoli stati dovranno recepire la direttiva. Si tratta di uno dei temi fondamentali anche nel percorso verso la neutralità climatica delle città, come quello intrapreso anche da Bologna assieme alle altre 99 città che fanno parte della Missione EU “Città neutrali”.

La strada della legge europea è in salita, come si può immaginare dall’esigua maggioranza ottenuta. La destra dell’emiciclo è contraria a questa proposta, e l’Italia è tra i principali paesi che annunciano battaglia. Il motivo è che la legge prevede l’obbligo per ogni paese di rendere più efficienti gli edifici pubblici e privati, a partire da quelli meno performanti. Più nello specifico la legge prevede di armonizzare le classi energetiche su una scala da A a G, per tutti i paesi dell’Unione. Si considerano di classe G il 15% degli edifici di un Paese che hanno la performance peggiore, mentre quelli in classe A sono quelli classificati a “emissioni 0”.  Tutti gli immobili privati dovranno raggiungere almeno la classe Ed entro il 2030, e almeno la classe D entro il 2033. Per gli edifici non residenziali gli stessi obiettivi sono per il 2027 e per il 2030. Non solo: dal 2026 tutti i nuovi edifici pubblici dovranno essere a “zero emissioni”, per gli tutti gli altri nuovi edifici si parte dal 2028.

Per gli oppositori questi obblighi sarebbero insostenibili.

 

Cosa dice la direttiva, tra leggenda e realtà

Nell’apertura della conferenza stampa successiva al voto Ciarán Cuffe (Gruppo Verdi/Alleanza libera europea), relatore della proposta di legge ha affermato che il testo

È giusto e realistico perché ridurrà le bollette energetiche. Affronterà le cause profonde della povertà energetica e creerà posti di lavoro. Creerà posti di lavoro locali e fornirà anche finanziamenti per i lavori di ristrutturazione. È flessibile, perché ogni Stato membro sviluppa un piano di ristrutturazione e tale piano di ristrutturazione si basa sul miglioramento degli edifici con prestazioni inferiori in quello Stato membro.

 

Ci assicura di raggiungere i nostri obiettivi climatici e di dare un grosso taglio alla nostra dipendenza dal gas, che fino a poco tempo fa era in capo a Putin in Russia. Ma non vogliamo passare da un dittatore all’altro. Vogliamo garantire che l’Europa raggiunga la sicurezza energetica e allontanarci dai combustibili fossili.

Chi paga? È una domanda legittima, ma chi contrasta questa direttiva ponendosi come difensore delle finanze dei contribuenti non sta raccontando tutta la storia. In primo luogo è utile sgombrare il campo da un fraintendimento: non è vero che, secondo questa direttiva, diventerà impossibile affittare o vendere una casa con una classe energetica insufficiente. Men che meno prevede espropri. Questa diceria circola dal 2021, cioè quando la legge ha cominciato l’iter, ma è stato più volte ribadito che non è così, né è possibile che lo sia. In sostanza, la direttiva vincola i Paesi a un certo risultato, non direttamente le persone. Saranno quindi i singoli Paesi, recependo la legge, a farsi carico di convincere i cittadini, e a dover rendere meno conveniente non adeguarsi nei tempi in modo da raggiungere l’obiettivo. Soprattutto, nel tempo dovrebbe diventare naturalmente più svantaggioso guadagnare su un immobile non adeguato, semplicemente perché a chi compra o affitta conviene, a parità di fattori, abitare in una casa di classe energetica più alta.

 

Come finanziare a lungo termine le ristrutturazioni

Già oggi, in base alla precedente direttiva, è obbligatorio provvedere a una certificazione energetica prima dei contratti. Almeno in alcune zone, il mercato si sta già adeguando in questo senso, ma non abbastanza velocemente. Questa direttiva introduce un nuovo documento, il passaporto di rinnovo, che a differenza della certificazione suggerisce anche al proprietario un piano personalizzato per migliorare gradualmente l’efficienza energetica.

Rimane il problema di come finanziare il rinnovamento di decine di milioni di edifici, farlo in maniera equa, e appunto realistica. Il messaggio di Cuffe in conferenza stampa è che gli strumenti finanziari sono già garantiti. Come si legge nella faq della proposta le fonti di finanziamento a cui accedere includono:

il Fondo europeo di sviluppo regionale, il Fondo di coesione e il dispositivo per la ripresa e la resilienza, grazie soprattutto alle forti iniziative faro “Renovate” (Rinnovare) nei piani nazionali per la ripresa e la resilienza. Il nuovo Fondo sociale per il clima proposto attingerà inoltre 72,2 miliardi di EUR dal bilancio dell’UE per il periodo 2025-2032 a sostegno delle famiglie, soprattutto di quelle che vivono negli edifici meno efficienti. Al fine di consentire una combinazione efficiente di finanziamenti pubblici e privati, la Commissione opera per rendere il quadro degli aiuti di Stato più in linea con le esigenze delle norme minime di prestazione energetica dell’UE.

Per quanto riguarda i singoli proprietari privati, si punta quindi a rendere più accessibile con diversi strumenti la ristrutturazione, sia in termini di permessi che di costo iniziale, tenendo conto che sarà ammortizzato nel tempo grazie ai risparmi in bolletta e all’aumento di valore (un edificio che non sia ben mantenuto è comunque destinato a perdere valore nel tempo). Tutto questo dovrà essere definito all’interno dei piani nazionali per la ristrutturazione, con cui ogni paese comunicherà in dettaglio come intende agire.

La direttiva prevede già in questa forma delle esenzioni, alcune generose. Si potranno escludere gli edifici storici, i luoghi di culto, gli edifici molto piccoli (sotto i 50 metri quadrati), e gli edifici occupati temporaneamente (come le case vacanze). A questo proposito Cuffe sottolinea che le esenzioni servono anche per andare al cuore del problema: non ha senso che si usino risorse pubbliche per ristrutturare le case per la villeggiatura (come è successo in alcuni paesi). Un’altra possibilità è quella di una deroga che riguarda fino al 22% degli edifici con la peggior performance.

 

stefano dalla casa – formicablu

Immagine: © European Parliament[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]