Ecosistema urbano: come stanno le città

Ci sono città che spingono nella direzione giusta e di anno in anno guadagnano posizioni. E altre che fanno molta fatica a dare una sferzata in chiave sostenibile alla propria organizzazione e gestione urbana.

Ogni anno, Legambiente racconta i progressi e i rallentamenti degli sforzi per essere semore più green delle città italiane nel rapporto Ecosistema Urbano, pubblicato in collaborazione con Ambiente Italia e con Il Sole 24 Ore. 

Arrivato alla 27esima edizione, il rapporto più che una classifica rigida e perentoria va interpretato come un’occasione per fare il punto su diverse scelte e pratiche messe in atto a livello delle città a confronto di quanto avviene nelle altre realtà urbane del paese. 

Al centro del rapporto 2020, che utilizza i dati del 2019 ma è necessariamente influenzato anche dall’esperienza Covid e quindi dagli effetti che la pandemia ha avuto e sta avendo su tutta la vita urbana, dal sistema imprenditoriale alla mobilità alle abitudini dei cittadini, c’è una forte spinta a ragionare sul futuro e a non perdere l’oppportunità di utilizzare i fondi del Recovery Plan per dare vita a un vero e proprio Green New Deal italiano. 

Il Rapporto è stato presentato e discusso in diretta streaming a inizio di novembre, con la partecipazione dei sindaci di Torino e Brescia, l’Assessore alla transizione ecologica di Trento, il direttore generale di ISPRA e il presidente nazionale di Legambiente. 

Il video dell’evento è disponibile anche qui sotto:

Un’ottima visualizzazione grafica interattiva è stata realizzata da Il Sole 24 Ore che consente di fare confronti tra tutte le città, parametro per parametro. 

I sette pilastri della ripresa

Data l’importanza e l’eccezionalità della fase attuale, Legambiente ha inserito il Rapporto Ecosistema Urbano in quelli che ha definito i sette pilastri del recovery plan italiano, un contributo corposo che l’associazione vuole dare, sui suoi temi, alla fase di cosiddetta ricostruzione e ripresa post Covid. 

I sette pilastri si traducono in una serie di appuntamenti messi in campo tra fine ottobre e inizio dicembre con la pubblicazione di rapporti e l’organizzazione di momenti di discussione e confronto:

  • ecoforum sull’economia circolare
  • forum acqua sul ciclo idrico integrato
  • forum agroecologia circolare sulla sostenibilità in agricoltura
  • forum bioeconomia delle foreste sulla gestione forestale sostenibile
  • conferenza città-clima sull’adattamento climatico in ambito urbano
  • forum QualEnergia sulla lotta alla crisi climatica e sulla mobilità sostenibile
  • rapporto ecomafia sugli strumenti di prevenzione e repressione contro l’infiltrazione mafiosa

Cosa troviamo nel rapporto Ecosistema urbano

La trasformazione verso città più sicure, resilienti, sostenibili e meno diseguali è in atto in diverse parti del mondo. E, magari più lentamente, come sottolinea Mirko Laurenti responsabile di Ecosistema Urbano nelle prime pagine del rapporto, è evidente anche in Italia. Una transizione che in parte il lockdown ha anche spinto: Torino ha ridisegnato i controviali per renderli più facilmente ciclabili, Roma è la prima città europea nella pianificazione (per ora tutta sulla carta) di 150km di nuove piste ciclabili, Bologna è la seconda con 94km di piste progettate e in parte già realizzate, Milano lavora a un sistema di piste e di altra mobilità sostenibile. E progressi interessanti si vedono in altri ambiti della sostenibilità.

Il report, sottolinea ancora Laurenti, punta a dare un contributo alla riflessione globale sul futuro delle città partendo dalle esperienze positive, come ad esempio quelle delle prime tre città nella classifica del 2020: Trento, Mantova e Pordenone. Monitorando diversi parametri di misura della qualità dell’ambiente, mobilità, acqua, aria e gestione dei rifiuti, il report permette di evidenziare esperienze positive in settori specifici anche da parte di quelle città che magari complessivamente non sono ai vertici della graduatoria ma stanno innovando in un ambito o in un altro.

I dati raccolti sono oltre 30mila e derivano dai questionari che Legambiente invia a 104 comuni capoluogo. Il Rapporto integra anche dati provenienti da fonti statistiche accreditate come Istat, Censis e diversi indici di monitoraggio internazionali. Il Rapporto consente di confrontare la situazione italiana anche con quella di grandi e piccole città internazionali tenendo come riferimento i Sustainable Development Goals, gli obiettivi dello sviluppo sostenibile.

Oltre alle situazioni virtuose e a quelle negative, il Rapporto raccoglie anche le Buone Pratiche, innovazioni e progetti che possono non essere molto visibili o di sistema, ma che puntano comunque a rendere più vivibile la città e che possono essere realizzate anche da altre realtà urbane. Gli esempi sono molti: la Ciclopolitana di Cosenza realizzata su esempio di quella di Pesaro, una rete ciclabile di oltre 30 km in fase di completamento; Napoli ha avviato il primo servizio di car-sharing elettrico; Milano punta sulla decementificazione nella sua riprogettazione urbanistica; Reggio Emilia ha avviato un progetto per il superamento di tutte le barriere architettoniche; Ragusa che è molto in basso nella graduatoria per diversi motivi ma è riuscita a mettere in campo un sistema di raccolta dei rifiuti che la porta ad avere il 73% di differenziata. 

Le città in cima alla graduatoria presentano buoni parametri in tutti i settori chiavi monitorati dallo studio, dalla riduzione delle emissioni alla crescita dell’uso di mezzi pubblici, dalla riduzione della produzione di rifiuti all’aumento della differenziata, alla riduzione del consumo di suolo, e via dicendo. «In testa si conferma quindi l’Italia delle città che riescono a pianificare le trasformazioni future e che in uno o più ambiti raggiungono anche l’eccellenza.» scrive ancora Laurenti. All’altro capo della lista si trovano città che faticano perfino a rispondere al questionario, o che presentano grandi carenze nella stessa raccolta dei dati di monitoraggio dei diversi settori. O che, semplicemente, hanno dei risultati molto lontani dagli obiettivi: Palermo, con meno del 20% di differenziata o Roma con indici di uso del trasporto pubblico tra i più bassi.

Bologna perde tre posizioni rispetto al 2019, passando dall’essere 13esima a 16esima. Ma si conferma nella parte alta della classifica, come da anni a questa parte, quella delle 20 città più virtuose, dove è anche l’unica città metropolitana, quindi di dimensione maggiore rispetto alle altre in questa posizione. Una indicazione questa che dice che complessivamente le politiche ambientali e di organizzazione del territorio stanno dando risultati. In generale, le città di media e grande dimensione fanno più fatica di quelle piccole ad avere ottime performance in tutti gli indicatori. «In generale i grandi centri – che sono quelli che per numerosità della popolazione potrebbero dare il contributo maggiore alla sostenibilità ambientale dell’insieme dei centri urbani – faticano a dare risposte alle criticità che le attanagliano» commenta nella sua analisi Laurenti.

Valentina Orioli, vicesindaca di Bologna con deleghe all’Urbanistica, Edilizia privata, Ambiente, Tutela e riqualificazione della Città storica, e al Patto per il clima, riflette sul fatto che questo genere di confronti aiuta perché «costituisce uno sprone a migliorarsi, facendo sintesi tra tanti elementi e fattori.» Ma al tempo stesso, è necessario evidenziare che ci sono vantaggi e svantaggi associati proprio alla dimensione delle città che vanno presi in considerazione: una città più piccola può fare più fatica ad avere un sistema di trasporto pubblico ottimale ma magari riesce a organizzare meglio la raccolta differenziata porta a porta. Quindi un lavoro di questo tipo aiuta anche a capire quali siano i settori dove il singolo comune può effettivamente fare la differenza con le proprie politiche rispetto a quelli dove la dimensione introduce un grado di complessità maggiore e non sempre facile da gestire o quelli che dipendono da politiche di gestione che vanno ben al di là del territorio comunale.

«Bologna rimane prima tra le città metropolitane d’Italia nella media degli indicatori, e questo è un dato confermato negli anni» continua Orioli, «Il punteggio è costante. La perdita o il guadagno di alcune posizioni dipende anche dalla competizione con le altre città. Ci sono città che magari hanno accelerato in qualche settore e altre che procedono con un ritmo più costante, come è il nostro caso. Si tratta di una conferma che per noi è importante.»

Un altro elemento messo in luce da Orioli, nel considerare l’utilità dei confronti con altre città, è anche la maggiore o minore dimensione di autonomia decisionale, regolativa e anche di investimento che una città può avere. Nel contesto italiano, ad esempio, città come Bolzano e Trento godono di una autonomia molto diversa da quella degli altri comuni italiani e questo si riflette direttamente anche sulle politiche attuabili a livello locale. Lo stesso vale in molti confronti internazionali, dove ci sono città come ad esempio Barcellona, che hanno un elevatissimo grado di autonomia e altre, come i comuni italiani, che possono incidere direttamente in alcuni settori e molto poco in altri.

«Ci sono settori in cui siamo eccellenti, come la mobilità e il trasporto pubblico locale così come l’uso razionale del suolo. E questi sono tutti settori dove il comune è protagonista.» aggiunge Orioli. Uno dei focus del rapporto è proprio sui piani della mobilità. Abbiamo già accennato e torneremo più in dettaglio sul PUMS (piano urbano mobilità sostenibile) di Bologna, approvato nel 2019. Nella classifica dei 14 PUMS approvati dalle città italiane, monitorata da MobilitAria, quello bolognese è considerato il più innovativo.

Il neo di Bologna, come ben sappiamo, è senz’altro la qualità dell’aria, ancora purtroppo molto problematica, come abbiamo raccontato anche qui su Chiara.eco in due contributi, Dai dati alle azioni per scoprire che aria tira in città e Impegno civico e lavoro istituzionale: le campagne di monitoraggio outdoor e indoor. E anche la raccolta differenziata, migliorata in questi anni ma sulla quale c’è ancora molto lavoro da fare, per arrivare all’obiettivo del 65%. 

«Questi sono settori dove facciamo più fatica: la qualità dell’aria, ad esempio, dipende anche da politiche molto più ampie che riguardano tutto il bacino padano ed è più difficile fare la differenza.» ammette Orioli, «Abbiamo poi fatto fatto passi in avanti importanti sulla raccolta differenziata, ma siamo ancora sotto l’obiettivo. E su questo c’è da migliorare, non c’è dubbio» 

Un altro parametro considerato è quello del verde urbano. Il numero di alberi cui fa riferimento il rapporto si riferisce agli alberi pubblici individualmente censiti. Bologna da anni fa un Bilancio arboreo della città, ma questo è chiaramente un altro settore su cui ci vuole più attenzione per migliorare.

La spinta all’innovazione sostenibile nei piani di ripresa post Covid

La pandemia è un disastro, sotto molteplici punti di vista. Ma rappresenta anche un momento di forte discontinuità che può essere utilizzato per modificare alcuni assi portanti del nostro modello di sviluppo e dell’organizzazione delle nostre città. «Il Paese non può mancare questa occasione irripetibile per rendere le nostre città più moderne, sostenibili e sicure» scrive Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, «Dopo decenni di discussioni, analisi dei problemi e definizione della loro soluzione (come abbiamo fatto con questo rapporto annuale), ora abbiamo la possibilità di risolverne una gran parte grazie alle risorse europee.» 

Nei mesi successivi al lockdown primaverile, le città hanno subito alcuni cambiamenti visibili, positivi e negativi. Si sono moltiplicate le ciclabili ed è aumentato l’uso della bicicletta e di altri mezzi elettrici a due ruote, grazie anche a bonus e incentivi. D’altro canto è anche aumentato molto l’uso della plastica monouso e si è ridotto quello dei mezzi pubblici, entrambe misure necessarie per il contenimento del contagio.

«Purtroppo sappiamo già che non c’è stata la riduzione attesa di inquinanti dell’aria,» prosegue e conclude Orioli. «All’interno del progetto europeo PrepAir in cui lavoriamo con altre città del bacino padano, come Torino e Milano, sulla qualità dell’aria, abbiamo già avuto una serie di risultati. Il confronto con il periodo del lockdown primaverile ha consentito di capire che in quel periodo sono calate sensibilmente le emissioni di ossidi di azoto, più legati al traffico, ma molto meno dell’atteso i particolati, le polveri sottili» Un dato questo che fa capire che ci sono attività, come quelle agricole o l’insieme del riscaldamento degli edifici, che contribuiscono in modo molto determinante alla qualità dell’aria, assai più che il traffico, evidentemente. E purtroppo ci si attende un peggioramento netto della gestione dei rifiuti, sulla quale però per ora non esistono dati precisi su cui ragionare ma solo scenari e previsioni. 

Alberto Fiorillo, responsabile scientifico Ecosistema Urbano, dà una indicazione molto forte alle città per il futuro: «Le città possono aggredire le emergenze e trasformarle in occasioni di cambiamento, guidando la transizione verso nuovi modelli economici e di produzione carbon free, investendo in posti di lavoro green, in mobilità nuova, in efficienza nei settori decisivi dell’edilizia, dell’energia, dei rifiuti, dell’uso del suolo e delle risorse naturali.» 

Una transizione da monitorare ma anche da promuovere partecipando attivamente alle discussioni pubbliche e ai momenti di riflessione partecipata sulle diverse politiche da disegnare e mettere in atto sul territorio.

Elisabetta Tola, formicablu