L’idea di unire sistemi fotovoltaici e coltivazioni è nata per usare il suolo in modo più efficiente, ma gli impianti devono essere progettati con attenzione per essere vantaggiosi per chi coltiva
In Italia la produzione di energia solare si sta impennando dal 2021: ma, secondo le stime ENEA, nel nostro paese il ritmo con cui vengono installati nuovi impianti fotovoltaici deve crescere ancora per raggiungere gli obiettivi nazionali di decarbonizzazione (dai 5 GW installati nel 2023 ad almeno 7 GW l’anno). In questa sfida, una delle soluzioni è trovare nuove superfici adatte per gli impianti di energie pulite; sono molti i paesi che, negli ultimi anni, stanno esplorando le potenzialità delle superfici agricole di ospitare pannelli solari. Ma questo può portare a una competizione tra la necessità di produrre cibo e quella di produrre energia. Per evitare questa competizione, già negli anni ‘80 è nata l’idea di studiare sistemi per unire la produzione agricola e quella energetica: negli anni, sono stati studiati una rosa di sistemi diversi conosciuti sotto il termine agrivoltaico.
L’obiettivo fondamentale dei sistemi agrivoltaici è aumentare l’efficienza nell’uso del suolo: il suolo, o per meglio dire lo spazio, è una risorsa scarsa e da usare con cura. L’idea dell’agrivoltaico è proprio quella di usare questa risorsa in modo più efficiente, combinando assieme diverse funzioni. Dunque i progetti per convertire suolo agricolo in campi di pannelli solari, senza continuare la produzione agricola, non possono essere definiti “agrivoltaico”, visto che non hanno l’obiettivo di usare lo spazio in modo misto e più efficiente.
Come è nato l’agrivoltaico
L’idea di studiare come i pannelli fotovoltaici potessero integrarsi alle colture agricole venne proposta per la prima volta dai fisici Adolf Goetzberger e Armin Zastrow all’inizio degli anni ’80. I due studiosi si erano ispirati a pratiche ben più antiche: quelle dell’agroforestazione, cioè la coltivazione combinata di ortaggi o altre colture sotto gli alberi da frutto. Questo sistema, usato in molte culture, ha il vantaggio di proteggere il suolo dall’erosione e le piante che crescono all’ombra degli alberi dal caldo o da eventi meteo intensi – un vantaggio, il secondo, che c’è anche quando agli alberi si sostituiscono altri tipi di coperture, come le serre o appunto i pannelli solari.
Oggi, in un momento storico in cui la frequenza e l’intensità degli eventi estremi stanno crescendo a causa del cambiamento climatico, questo fattore di protezione dagli eventi estremi rende l’agrivoltaico interessante agli occhi di molti agricoltori.
Nonostante il concetto sia stato proposto per la prima volta negli anni ‘80, ci sarebbero voluti molti anni prima delle prime sperimentazioni sul campo. Uno dei primi esempi venne sperimentato in Giappone nel 2004: i ricercatori giapponesi proposero il nome di solar sharing (condivisione del Sole) per questa nuova tecnologia.
I sistemi agrivoltaici si sono diffusi solo una decina di anni dopo. I primi impianti di larga scala vennero installati nel 2014 in Cina, paese ancora in testa nell’implementazione dell’agrivoltaico. In Europa invece i primi programmi di ricerca pubblici sono partiti in Francia.
Oggi altri paesi in cui sono stati lanciati programmi e finanziamenti pubblici a sostegno di iniziative di questo tipo sono Stati Uniti, Corea del Sud, India, Israele, Germania e Italia.
Quando e dove serve l’agrivoltaico?
Nonostante la maggior parte della ricerca e dei progetti commerciali si sia sviluppata in questi paesi – più ricchi e tecnologicamente all’avanguardia – in realtà secondo alcuni ricercatori le potenzialità dell’agrivoltaico sono maggiori in regioni subtropicali e semiaride, dove le colture ricevono luce in quantità e anzi, l’ombra offerta dai pannelli solari riduce la necessità di acqua. L’ombra, infatti, riduce la temperatura del suolo e il fenomeno dell’evapotraspirazione delle piante – il processo per cui l’acqua evapora dalle foglie delle piante – diminuendo la quantità di acqua necessaria per l’irrigazione. Un bel vantaggio in paesi aridi, in cui quest’acqua potrebbe non essere continuamente disponibile in quantità. In molti di questi paesi, però, i sistemi agrivoltaici non sono ancora arrivati o il loro uso è ancora limitato.
La copertura offerta dai pannelli solari ha, come anticipato, anche il vantaggio di dare protezione da eventi meteo intensi: in caso di piogge violente o tempeste, gli impianti possono proteggere ortaggi e alberi da frutto fragili. In generale, i sistemi agrivoltaici sono considerati sia dai ricercatori che dagli agricoltori un modo per stabilizzare la produzione agricola durante l’anno: se sul breve periodo ridurre la quantità di luce che arriva alle piante può ridurre la produzione, sul lungo periodo la produttività rimane costante perché si riducono i rischi dati dal meteo o dal caldo intenso. Anche nelle zone non aride ma colpite dagli effetti del cambiamento climatico, come i paesi europei, questa protezione in più potrebbe aiutare ad avere raccolti più sicuri e stabili nonostante i cambiamenti nel clima globale.
Diversi sistemi, diverse colture
Se l’obiettivo dei sistemi agrivoltaici è comune – produrre sia energia sia cibo in modo efficiente – le forme che gli impianti assumono possono essere diverse.
I primi sistemi agrivoltaici, sperimentati in Giappone, prevedevano moduli montati a diversi metri di altezza; dal 2015 in poi si sono diffusi sistemi con moduli fotovoltaici montati a terra ma in verticale, in modo da intervallare a filari di colture degli altri “filari” di pannelli per la produzione di energia. Ci sono poi sistemi con moduli montati a pochi metri da terra, o sistemi sospesi adattabili a diversi tipi di terreni (come quelli sperimentati dall’azienda mantovana RemTec). Anche le serre dotate di impianti fotovoltaici sul tetto si possono considerare sistemi agrivoltaici.
Per gli agricoltori, decidere che tipo di sistema montare è una decisione da valutare accuratamente. Soprattutto rispetto alla necessità di usare macchine agricole: un sistema agrivoltaico montato a due o tre metri da terra, per esempio, impedisce di usare aratri e trattori. Dunque non è compatibile con colture come il grano e il mais, ma potrebbe essere l’ideale per proteggere alberi da frutto come le vigne e i meli.
Il fattore cruciale, però, è la scelta di come scegliere moduli fotovoltaici e colture in modo che le piante ricevano la giusta quantità di luce, che non comprometta la produzione. Finora gli studi scientifici sull’argomento hanno evidenziato che piante particolarmente adatte sono i vegetali a foglia verde (come la lattuga e gli spinaci), la frutta e le bacche, le erbe e le spezie. In zone aride come lo stato americano dell’Arizona, però, le sperimentazioni hanno ottenuto ottimi risultati anche con piante bisognose di luce come i pomodori e i peperoncini: la scelta delle colture, infatti, deve seguire necessariamente una valutazione accurata delle caratteristiche climatiche del luogo in cui si vuole costruire un sistema agrivoltaico.
Al momento, la ricerca su questi sistemi si sta concentrando anche su nuove tecnologie per rendere i moduli fotovoltaici vantaggiosi anche in luoghi dove l’insolazione non è quella dell’Arizona: per esempio, con lo sviluppo di celle fotovoltaiche trasparenti o che tracciano la direzione del Sole.
Perché questi sistemi siano davvero vantaggiosi per il settore agricolo, però, è fondamentale che siano studiati per le esigenze degli agricoltori: altrimenti, il rischio è che il suolo per la produzione di cibo venga sacrificato per il guadagno – stabile e vantaggioso – che deriva dalla produzione di energia.
di Anna Violato – formicablu
Anna Violato è una comunicatrice della scienza freelance che vive a Bologna. Collabora con testate come Nature Italy, Le Scienze e RADAR Magazine, con lo studio di comunicazione scientifica formicablu e con diverse case editrici.