Che clima farà in Emilia Romagna?

Sul sito dell’ARPAE una mappa interattiva per capire quale potrebbe essere il clima della regione in base alle proiezioni climatiche.


È molto probabile che nel 2100 il mondo sarà più caldo di almeno 2 gradi rispetto all’era preindustriale, e potremmo quindi mancare il principale obiettivo dell’Accordo di Parigi. Questo tipo di proiezione climatica si basa sugli scenari di emissione che stimano quanti altri gas serra accumuleremo in atmosfera. Il “molto probabile” dipende dal fatto che al momento la traiettoria dell’atmosfera è già lontana dagli scenari più ambiziosi, cioè quelli che prevedevano tagli consistenti alle emissioni. Infatti, anche se considerassimo soltanto gli scenari “intermedi”, più in linea con le azioni finora intraprese, sarebbe già atteso per fine secolo un riscaldamento tra 2 e 3 gradi centigradi.

Questi risultati, però, si riferiscono solo a una media globale e il clima non cambia in modo uniforme sul pianeta. Se vogliamo sapere cosa succederà dove abitiamo noi, o in qualunque altra parte del mondo, occorre ridimensionare le informazioni a una scala locale. L’Osservatorio Clima, struttura operativa dell’Agenzia per prevenzione dell’ambiente ed energia della Regione Emilia-Romagna, ha da poco lanciato sul suo sito una mappa interattiva che permette di esplorare i cambiamenti climatici in regione da qui al 2050.

 

Il clima sta cambiando, ma come si può prevedere la sua evoluzione dalla scala globale a quella locale?

Ci siamo rivolti all’Osservatorio Clima dell’Agenzia regionale per l’ambiente dell’Emilia-Romagna, istituito nel 2017 dalla Regione e operativo dal 2019. Tra i suoi compiti c’è anche quello di monitorare il clima e di elaborare proiezioni di cambiamento climatico a supporto dei piani e strategie di mitigazione e adattamento. La climatologa Rodica Tomozeiu, che da tempo studia la variabilità del clima nella nostra Regione, ci racconta che questa attività dell’Agenzia è partita nei primi anni 2000, prima dell’istituzione dell’Osservatorio Clima, con la partecipazione a progetti di ricerca nazionali e internazionali, ma adesso questa attività viene svolta in maniera continuativa ed è diventata un elemento centrale di supporto agli organi di governo e di programmazione regionale, a fronte dell’emergenza climatica che stiamo vivendo.

Tomozeiu spiega che i primi strumenti sviluppati della comunità scientifica per lo studio dei cambiamenti climatici a scala globale sono stati i modelli climatici globali (Global Climate Models), che negli anni sono diventati sempre più complessi per l’aumentato livello di dettaglio e di specificità dei processi fisici che vengono simulati. Le simulazioni di questi modelli GCM, relative agli scenari climatici presenti e futuri, sono diventate sempre più accurate, grazie anche all’aumento della risoluzione spaziale a cui vengono risolti i processi fisici. Oggi, la distanza dei punti di griglia su cui vengono modellate le diverse grandezze fisiche si è ridotta a circa 100 km.

Tuttavia, questa risoluzione non è ancora sufficiente per rappresentare i cambiamenti climatici a scala locale, generalmente legati alla particolare conformazione del territorio. Per questa ragione, sono state sviluppate tecniche di regionalizzazione di tipo dinamico e statistico. Le prime si basano sull’utilizzo di modelli regionali del clima, ossia di modelli ad area limitata con una risoluzione spaziale dell’ordine di una decina di chilometri. Le seconde, sviluppate e utilizzate anche dall’Osservatorio Clima dell’ARPAE-Emilia-Romagna, utilizzano invece delle relazioni statistiche tra le diverse variabili atmosferiche e i modelli GCM (una spiegazione più tecnica è disponibile sul sito). Per mezzo di queste tecniche di regionalizzazione è stato possibile formulare scenari di cambiamento climatico sempre più dettagliati, tali cioè da consentire lo studio dei possibili impatti sul territorio.

Questi strumenti mantengono, tuttavia, un certo grado di incertezza, che va quantificata e possibilmente ridotta. A questo proposito all’Osservatorio Clima si utilizzano più modelli climatici, diversi tra loro, e lo scenario futuro è dato dalla media degli scenari previsti, mentre la loro dispersione dà una misura del grado di attendibilità di questo scenario.

 

Il clima che ci aspetta a colpo d’occhio

I ricercatori si sono basati su uno degli scenari intermedi di cui parlavamo prima, lo RCP 4.5, dove RCP sta per “Representative Concentration Pathway”. «Per “Representative Concentration Pathways” (RCPs) – spiega la ricercatrice – si intendono le traiettorie delle concentrazioni dei gas serra nel XXI secolo, con le conseguenti e associate proiezioni dei livelli di forzante radiativa al suolo, in base ai diversi scenari di crescita economica globale, alla variazione della popolazione, allo sfruttamento delle risorse energetiche e del territorio, o ancora ad altri fattori socioeconomici. L’IPCC nel suo quinto Rapporto di Valutazione (AR5, 2014) ha selezionato 4 RCPs di riferimento: RCP 2.6, RCP 4.5, RCP 6.0 e RCP 8.5. Lo scenario RCP 4.5 è importante perché rispetto agli altri scenari considera la stabilizzazione della concentrazione dei gas serra attraverso l’adozione di politiche più realistiche».

Per comunicare i risultati in maniera immediata, nel Piano di adattamento per l’energia sostenibile e il clima della Regione Emilia-Romagna, il territorio regionale è stato diviso in 8 aree omogenee, più le città capoluogo.

Immagine: ARPAE

  • Area di Crinale: include i territori a quota superiore agli 800 metri (divisa in ovest e est)
  • Area di Collina: include i territori a quota compresa tra i 200 e gli 800 metri (divisa in ovest e est)
  • Area di Pianura: include i territori a quota inferiore ai 200 metri (divisa in ovest e est)
  • Area costiera: include i territori che si affacciano sul mare o che distano da esso meno di 5 km (divisa in nord e sud)
  • Area urbana: include i comuni con un numero di abitanti > 30.000

Ci si potrebbe chiedere come mai le città, che sono all’interno di diverse aree, siano trattate separatamente. Secondo l’esperta «è importante sviluppare dei profili climatici per le città, perché il loro sviluppo urbano vi ha determinato un aumento più marcato dell’impatto dei cambiamenti climatici. In particolare, questo è maggiormente evidente per le temperature, che hanno determinato un aumento della durata delle onde di calore in estate, un’espansione e un’intensificazione delle isole di calore e un aumento del numero delle notti tropicali, non solo più limitate alla stagione estiva».

Per ognuna di queste aree (da qui si risale alla collocazione del proprio comune) ha elaborato un’infografica che riporta sette indicatori. Qui quella di Bologna, area urbana all’interno della pianura est.

Immagine: ARPAE

Le infografiche sono una versione sintetica delle schede di proiezione climatica realizzate in precedenza dall’agenzia. Le schede complete si scaricano da qui.

 

Più caldo e più secco ovunque

Nel periodo 1991-2020 le temperature sono aumentate rispetto al periodo climatico di riferimento 1961-1990, e in tutte le stagioni. Del resto, poco tempo fa parlavamo su Chiara di come gli inverni siano già più miti. Inoltre, nelle città in particolare si sono moltiplicate durante la stagione estiva le notti “tropicali”, quando le temperature minime notturne non scendono sotto i 20 gradi. Sappiamo bene che non basta un anno a “fare” il clima, ma dalla siccità invernale a quella estiva, alle ondate di calore, a questo inizio di autunno con temperature del tutto anomale, il nostro 2022 probabilmente ci dà già un’idea concreta di ciò a cui siamo diretti.

Nelle schede di proiezione climatica viene evidenziato che, per il trentennio 2021-2050, questi fenomeni si potranno verificare con maggiore frequenza e intensità. Per la città di Bologna, ad esempio, le onde di calore estive avranno probabilmente una durata maggiore, circa 6 giorni consecutivi rispetto ai 2 giorni del periodo 1961-1990. Anche le notti tropicali sono previste salire da 25 a circa 42.

Un altro elemento molto importante riguarda la probabile diminuzione delle precipitazioni di circa il 10% a livello annuo, anche se questa diminuzione potrebbe essere ancora più accentuata nelle stagioni primaverili ed estive, con conseguenti e prolungati periodi siccitosi. Nel periodo 2021-2050 è atteso un numero massimo consecutivo di giorni senza precipitazioni pari a 31 giorni rispetto ai 20 giorni osservati nel clima di riferimento.

 

A cosa ci servono queste informazioni?

Ma quale uso può fare il cittadino di questo lavoro? E le amministrazioni pubbliche? La dottoressa ricorda che le schede di proiezione climatica sono state elaborate proprio per essere uno strumento per la Regione, per i Comuni e Unione dei Comuni o per altri enti locali da utilizzare per la formulazione di piani di adattamento o mitigazione ai cambiamenti climatici.

 “Anche come cittadina, penso che dobbiamo assumere una maggiore consapevolezza delle situazioni di emergenza, come abbiamo visto per la scorsa estate e questo autunno, determinate dai cambiamenti climatici. Da questa consapevolezza dovrebbe quindi seguire un comportamento più adeguato, in termini di consumi e di stili di vita, da trasmettere anche ai propri figli”

Le infografiche danno un’idea chiara, a colpo d’occhio, ma non ci dicono tutto. Chiediamo allora se usando gli stessi dati è possibile avere informazioni sugli impatti, per esempio in termini di salute, produzione di cibo, economia. «Gli scenari climatici potranno essere utilizzati come input nei modelli di impatto sulla salute, sulla produzione agricola, sulla richiesta idrica e sull’economia in generale. L’Osservatorio Clima è attualmente coinvolto nel progetto Life ADA, un progetto europeo che intende dare un supporto concreto al settore agricolo rafforzandone le capacità di resilienza ai cambiamenti climatici. L’obiettivo è proprio quello di costruire strumenti adeguati che supportino gli agricoltori nel processo decisionale della definizione di piani di adattamento, che siano efficienti per l’intera filiera agroalimentare», conclude Tomozeiu.

 

stefano dalla casa – formicablu