Il Piano Generale della Mobilità Ciclistica è realtà. Intervista ad Andrea Colombo

Il Piano Generale della Mobilità Ciclistica è un documento nazionale che include definitivamente la bicicletta tra le politiche della mobilità, sia urbana che interurbana. Ne abbiamo parlato con uno degli autori, Andrea Colombo.


Con l’atto ufficiale in Conferenza Stato-Regioni del 3 agosto scorso è stato definitivamente approvato il Piano Generale della Mobilità Ciclistica. Si tratta di un piano nazionale che era previsto dalla Legge n. 2 del gennaio del 2018 che per alcuni anni è rimasto in una sorta di limbo. Quattro anni fa il ministro era Graziano Delrio, nominato da Matteo Renzi e poi confermato dal successore Paolo Gentiloni. Da allora, i ministri che hanno occupato la sua stessa posizione sono stati ben tre: Danilo Toninelli (in quota Movimento 5 Stelle), Paola De Micheli (Partito Democratico) e Enrico Giovannini (indipendente). È quest’ultimo che da ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile decide di dare definitivamente corpo al Piano nel corso del 2021.

Il Piano Generale della Mobilità Ciclistica è un documento nazionale di programmazione sul lungo periodo. Gli scopi principali sono di potenziare e migliorare la mobilità ciclistica sia a livello urbano che interurbano, con l’idea di allineare l’Italia alle indicazioni in materia che sono emerse in ambito europeo. Inoltre, prima che il governo Draghi entrasse in crisi erano già stati approvati e assegnati finanziamenti per 943 milioni di euro per la mobilità ciclistica. A questi fondi si devono però aggiungere anche circa 400 milioni del PNRR previsti espressamente per la realizzazione entro il 2026 di 1.235 chilometri aggiuntivi di ciclovie turistiche e per interventi di manutenzione su quelle esistenti. Sempre da PNRR arrivano anche altri 200 milioni, in questo caso per 565 chilometri di percorsi ciclabili in ambito urbano, in particolare per potenziare i collegamenti con le stazioni ferroviarie.

 

Che cosa cambia

“Il cambiamento arriva su due piani complementari, quello politico e quello tecnico”, ci spiega Andrea Colombo, già assessore alla Mobilità e ai Trasporti del Comune di Bologna e uno degli estensori del Piano Generale della Mobilità Ciclistica. “Sul piano politico significa che per la prima volta la mobilità ciclabile diventa oggetto della politica nazionale” e quindi Mobilità e Trasporti non significa più solo autostrade, porti, ferrovie: “la bicicletta oggi ha una piena dignità politica riconosciuta”, che ufficializza quello che di fatto è già per molte persone: un mezzo di trasporto quotidiano.

“La bicicletta oggi ha una piena dignità politica riconosciuta”

Il Piano serve anche come guida per tutte le amministrazioni che devono far fronte alle esigenze di organizzazione stradale per facilitare l’uso delle due ruote a pedali. “All’interno del documento è stata prevista una vera e propria guida applicativa”, racconta Colombo. Si chiama Progettare ciclabilità sicura – Guida all’applicazione del D.L. 76/2020 (nel Piano corrisponde all’Allegato B). E il riferimento è al decreto legge “Semplificazione”, poi convertito in legge, che è nato in periodo pandemico e introduceva delle modifiche importanti per la mobilità ciclabile. Si tratta di novità, come il doppio senso stradale per le biciclette o le strade a prevalenza ciclabile, che sono state introdotte durante la pandemia, in condizioni particolari, “e che poi sono state mantenute”, spiega Colombo, “grazie alla buona volontà delle amministrazioni locali. Ora il Piano fornisce un quadro di indirizzo uniforme a livello del Paese”.

 

“Democrazia dello spazio pubblico: uno spazio in cui tutti gli utenti possano viaggiare e spostarsi in sicurezza”

Tra gli aspetti generali che il Piano introduce c’è l’idea della condivisione dello spazio stradale tra diversi utenti, biciclette comprese ovviamente. “È ormai superata la teoria per cui il modo più efficace per promuovere e tutelare i ciclisti sia la separazione”, commenta Colombo. Per vari motivi: difficoltà di progettare ciclabili separate in ambito urbano, soprattutto con centri storici densi come quelli italiani; una falsa idea di sicurezza per i ciclisti, “e la sicurezza è uno dei punti critici della mobilità ciclabile”. Gli studi sembrano concordi nell’indicare nel punto di incontro tra la pista ciclabile separata e il traffico veicolare uno dei punti critici. Un po’ perché sulla ciclabile separata ci sentiamo più sicuri e abbassiamo l’attenzione; ma un po’ anche perché l’incontro tra due tipi di traffici diversi è comunque critico. Per questi motivi, il Piano, che è frutto del lavoro di un’ampia squadra di esperti con curricula diversi, prevede quella che Colombo chiama la “democrazia dello spazio pubblico: uno spazio in cui tutti gli utenti possano viaggiare e spostarsi in sicurezza”. In questo senso, come ha fatto dai sui canali social, sottolinea l’importanza di promuovere la mobilità ciclabile in accordo con il progetto di città 30: una città in cui in tutto il centro valga il limite di velocità di 30km/h.


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“La città 30 favorisce proprio la condivisione in sicurezza dello spazio urbano”, aggiunge Colombo. Ma non è sufficiente introdurre un limite di velocità. Per realizzare il progetto, proprio in accordo con gli obiettivi del Piano, “bisogna riprogettare le strade, con dossi, attraversamenti rialzati e altri arredi stradali”, ma è necessario anche implementare un controllo dei comportamenti, soprattutto nei punti, come quelli di contatto tra diversi tipi di traffico, che vengono identificati come più delicati dal punto di vista della sicurezza in relazione alla velocità dei veicoli a motore.

 

Biciclette come mezzo di trasporto interurbano

Il Piano non si limita a vedere la bicicletta come un mezzo di trasporto adatto agli spostamenti urbani, ma allarga lo sguardo all’ambito extraurbano. Lo fa sicuramente promuovendo il cicloturismo e la costruzione e manutenzione delle piste cicloturistiche. Ma lo fa anche riconoscendo la necessità in questi tempi di necessità di ridurre gli spostamenti con mezzi particolarmente impattanti sul piano climatico, di favorire l’uso della bicicletta per gli spostamenti anche tra centri urbani. “Il Piano dà degli indirizzi per lo sviluppo di infrastrutture adatte al trasporto quotidiano”, ci spiega Colombo, “come per esempio potenziando l’intermodalità”, ovvero la possibilità di spostarsi utilizzando combinazioni di treno e bicicletta, “cosa tutt’altro che impossibile da immaginare in un’area metropolitana compatta come quella bolognese”. Ma per la quale servono però progettazioni nuove ad hoc.

In questo senso potrebbe aiutare il cambiamento di prospettiva anche la recente diffusione delle biciclette a pedalata assistita. “Se con la bicicletta classica muscolare”, precisa Colombo, “si calcola un possibile spostamento quotidiano di 5 chilometri, con l’e-bike questa distanza massima si triplica”. E può essere ancor più allungata se in abbinamento con il treno.


Ascolta la seconda puntata del podcast di Chiara Eco alla mobilità urbana alternativa all’automobile:

Ascolta “La città neutrale 2 – Lascia a casa l’auto” su Spreaker.


Tutto molto bello, si potrebbe dire, ma poi il Piano per essere efficace deve essere attuato. “Mi ha molto colpito vedere come la pandemia ha avuto un effetto su questo settore”, confessa Colombo. Grazie a interventi straordinari in un periodo straordinario, “abbiamo visto più progressi che nei quindici anni precedenti”. Rimane da capire se l’ottimismo di Andrea Colombo contagerà altri in tante città e paesi d’Italia. Per questa volta, oltre al Piano, ci sono anche dei finanziamenti già stanziati: non si può quindi dire che manchino gli strumenti.

 

marco boscolo – formicablu