Filla, il nuovo padiglione del Parco della Montagnola dedicato alla sostenibilità e all’ambiente, è un NZEB. Di cosa si tratta?
Il termine NZEB è passato dall’essere un termine da addetti ai lavori al diventare un obbligo di legge, ma ammettiamolo: nonostante la transizione ecologica di una città passi da questo acronimo, la sigla – che per la verità non brilla per pronunciabilità – non è ancora di uso comune. Eppure è necessario che lo diventi, perché NZEB sta per Nearly Zero Energy Building (edificio a energia quasi zero) e indica un tipo di costruzione ad altissima prestazione energetica, in cui il fabbisogno energetico molto basso o quasi nullo è coperto in misura significativa da energia da fonti rinnovabili.
Edifici in prima linea per salvare il clima
L’Europa ha cominciato a usare il termine nel 2010 all’interno di una direttiva specifica (la cosiddetta EPBD 2, ossia Energy Performance Building Directive), seconda versione dello strumento normativo con cui l’Unione Europea vuole affrontare la crisi climatica a partire dagli edifici. Combattere il riscaldamento globale sul fronte edilizio ha perfettamente senso: sono proprio le case e i palazzi, infatti, i principali responsabili dell’impatto climatico nella UE, tra l’uso di elettricità di origine fossile e di combustibili non rinnovabili, come ad esempio il metano usato nelle caldaie e nelle cucine. Il settore edilizio secondo l’European Environment Agency nel 2022 risulta aver prodotto più di un terzo (34%) delle emissioni di CO2 dell’UE. A Bologna la situazione è ancora più estrema: i rilievi del 2018 hanno fotografato come gli edifici siano responsabili del 78% delle emissioni di gas serra sul territorio comunale. Ecco allora che per avere un impatto zero sul clima entro il 2050, Bruxelles deve dare gli strumenti a tutti gli Stati membri per trasformare radicalmente tutti i suoi edifici. Vale a dire, per cambiare il volto di tutte le sue città, casa per casa, palazzo per palazzo.
Come funziona un NZEB
Non esiste una definizione universale di edificio NZEB: anche su suolo europeo ogni Paese ha interpretato diversamente, sempre ai sensi delle direttive, il suo concetto di edilizia sostenibile. In Italia gli NZEB sono stati introdotti solo dall’estate del 2015 con parametri di legge che ne definiscono le prestazioni energetiche. A livello generale si può dire che si tratta di un edificio progettato per ridurre al minimo i consumi di energia sia nelle stagioni fredde che in quelle calde, grazie a un involucro molto ben isolato, a finestre performanti e a impianti molto efficienti (come pompe di calore, ventilazione meccanica controllata, illuminazione LED). La poca energia che serve può essere autoprodotta, per esempio con un impianto fotovoltaico sul tetto o una tecnologia solare termica. La legge italiana ha innescato questa transizione a partire dagli edifici pubblici, nel 2019. Dal 2021 qualsiasi nuovo edificio deve essere costruito secondo questi criteri che lo fanno nascere direttamente in classe A.
A che punto siamo?
Forti dell’essere diventati il nuovo paradigma dell’edilizia verde gli NZEB stanno rapidamente crescendo nel nostro Paese. Nel biennio 2016-2017 ne erano stati registrati circa 600. Nel 2022 il loro numero è cresciuto enormemente: secondo l’ultimo rapporto annuale ENEA che riporta il dato, in quella data c’erano in Italia circa 17.500 edifici con fabbisogno energetico (quasi) nullo. Il grande numero può trarre in inganno. In realtà si tratta solo dello 0,1% del patrimonio edilizio italiano. La vera sfida per avere città verdi è quindi quella di produrre NZEB attraverso una “riqualificazione profonda” degli edifici esistenti, per traghettare così le loro performance energetiche verso le classi migliori. Il processo è ancora molto lento: in Emilia-Romagna solo il 23% dei circa 6.000 NZEB realizzati è frutto di una ristrutturazione. Le case esistenti non si rinnovano e appartengono ancora a un mondo alieno alle politiche ambientali e climatiche: se da un lato gran parte dell’elettricità utilizzata in Italia (circa il 60% nell’ultimo anno) non è rinnovabile – un dato che possiamo trasferire anche alle nostre case – dall’altro sono i combustibili fossili a far funzionare ancora la quasi totalità degli impianti di riscaldamento degli edifici (il 92,5% nel 2021). Secondo “Vivere in Classe A”, il rapporto 2023 di Legambiente, questa energia inquinante è usata anche male. Nel patrimonio edilizio italiano – fatto di edifici storici e di intere periferie costruite tra gli anni ’50 e ’60 del secolo scorso – il 75% degli edifici italiani si colloca ancora nelle classi energetiche più basse (E, F e G, dato 2021). Gli NZEB non sono insomma la regola, ma un semplice frammento delle città che vorremmo.
Un futuro di Case Green
Nel frattempo, a 23 anni dalla prima direttiva EPBD, l’Europa ha alzato l’asticella di quanto chiede al proprio patrimonio edilizio. L’ultima direttiva – la EPBD 4, conosciuta anche come direttiva Case Green – è stata pubblicata l’8 maggio 2024, è entrata ufficialmente in vigore 20 giorni dopo e promette di rivoluzionare il settore. Nel testo si legge infatti una richiesta sulle prestazioni degli edifici europei ancora più ambiziosa: le nuove costruzioni (dal 2028 gli edifici pubblici e dal 2030 quelli privati) non dovranno più essere infatti solo a “energia quasi zero” – il cui consumo dovrà essere comunque ulteriormente ribassato rispetto all’attuale – ma essere anche a “emissioni zero”, ossia senza l’emissione di carbonio da combustibili fossili bruciati in loco. Si affianca così, alla visione sul tema dell’efficienza energetica, una che guarda anche all’impatto sull’ambiente, favorendo così gli impianti di energia rinnovabile nell’edificio, o nelle sue vicinanze, e la realizzazione di colonnine elettriche domestiche per le vetture (1 punto di ricarica ogni 5 posti auto). L’accelerazione verso la transizione prevede anche che ogni Paese realizzi un piano nazionale di ristrutturazione degli edifici esistenti, con tabelle di marcia, piani di investimenti, soglie definite di consumo energetico e di emissione di gas serra. La finalità è quella di una monumentale metamorfosi del patrimonio edilizio europeo in “case green” – anche se sarà possibile esentare determinate costruzioni, come ad esempio gli edifici storici, le case molto piccole o i luoghi di culto – in uno scenario di un’Europa completamente decarbonizzata nel 2050. L’Italia, come tutti gli altri Paesi, ha 2 anni di tempo per recepire la norma con leggi nazionali, entro la metà del 2026.