Di nuovo al via le misure emergenziali antismog. Capiamo bene come funzionano.

Domani, 1° dicembre 2020, scattano nuovamente le misure emergenziali antismog che, come spiegato nell’articolo che abbiamo dedicato alla qualità dell’aria a Bologna, sono una delle ricorrenze a cui la stagione tardo autunnale ci ha tristemente abituati e che che vanno a sommarsi alle normali misure di miglioramento della qualità dell’aria in vigore dal 1° ottobre 2020 al 30 aprile 2021. Ma come funzionano? Cosa dobbiamo aspettarci alla luce dei sempre più frequenti impatti dei cambiamenti climatici? E il lockdown, cosa ha comportato per la qualità dell’aria?


Misure emergenziali e PM10: cosa dice la scienza, cosa prevede la normativa

Le misure emergenziali sono dei provvedimenti finalizzati a limitare la presenza di PM10, ossia di Materiale Particolato – o Particulate Matter – di origine organica o inorganica. Questo inquinante fa parte della famiglia delle polveri sottili (o aerosol atmosferico) ed è costituito da particelle allo stato solido o liquido che si trovano sospese in aria e hanno una dimensione uguale o inferiore ai 10 micrometri. Le polveri sottili, infatti, vengono classificate secondo la loro dimensione e più sono piccole più hanno la capacità di penetrare nell’apparato respiratorio. Il PM10, ad esempio, può essere inalato penetrando dal naso e arrivando alla laringe. A differenza degli inquinanti primari, che vengono emessi direttamente e non subiscono modifiche una volta emessi in atmosfera, il PM10, così come polveri sottili di altre dimensioni, è capace di adsorbire e quindi trattenere sulla sua superficie diverse sostanze, alcune anche con proprietà tossiche, quali solfati, nitrati, metalli e composti volatili. Il PM10 è quindi un inquinante con componenti sia di tipo primario sia di tipo secondario, intendendo con quest’ultimo termine la parte che si forma a seguito di reazioni chimico-fisiche in atmosfera.

Il PM10 è tra gli aerosol più frequenti nelle aree urbane. La sua concentrazione aumenta nel periodo autunno-inverno quando al traffico veicolare si aggiungono le emissioni di polveri derivanti dall‘accensione degli impianti di riscaldamento, in particolare quelli alimentati a biomasse legnose e le condizioni meteo-chimiche favoriscono un innalzamento generale dei livelli dell’aerosol atmosferico.

Come spiega Vanes Poluzzi, Dirigente Responsabile di CTR Qualità dell’Aria dell’Agenzia regionale per la prevenzione, l’ambiente e l’energia dell’Emilia-Romagna (Arpae) la necessità di limitare il più possibile i valori elevati di PM10 si basa, oltre che sulla pericolosità dell’inquinante, anche su due specifici riferimenti normativi:

  • il valore medio annuo di PM10, che deve essere al di sotto dei 40 μg/m3 (microgrammi su metro cubo);

  • il valore medio quotidiano, che richiede che il valore quotidiano di 50 μg/m3 non venga superato per più di 35 giorni l’anno.

Mentre il primo parametro, ossia il valore medio annuo, è sempre stato rispettato in tutto il territorio della Regione Emilia-Romagna, il numero di superamenti del valore medio quotidiano è stato, anche nel 2019, maggiore rispetto ai 35 giorni consentiti in ben 17 delle 43 stazioni della rete di monitoraggio regionale. A Bologna, sempre nel 2019, la stazione di San Felice ha registrato un superamento del limite in 32 giorni, mentre il dato del 2020 deve essere ancora validato ma attualmente è di 36 giorni di superamento. Un dato al quale si aggiunge quanto evidenziato dal report Mal’Aria di Città, pubblicato da Legambiente nel gennaio del 2020, che spiega come il numero dei giorni in cui a Bologna c’è stato un superamento dei limiti di PM10 e ozono è stato addirittura di 59.

Come funzionano le misure emergenziali

Spesso di difficile interpretazione e comprensione, le misure emergenziali hanno alla base un meccanismo che ne prevede l’entrata in vigore al ricorrere di due condizioni.

Innanzitutto, il limite giornaliero di 50 μg/m3 deve essere superato per 3 giorni consecutivi in un punto qualsiasi dell’area metropolitana facente parte di uno dei 30 Comuni con più di trentamila abitanti del Piano Aria Integrato Regionale (PAIR). “Ad esempio – spiega il dott. Poluzzi – se il limite di 50 μg/m3 viene superato nell’estremo lembo nord orientale di Bologna, tale valore viene esteso a tutta la provincia e provoca il primo campanello di allarme”. Si passa, dunque, a valutare la cosiddetta condizione predittiva ossia l’analisi della probabilità, per il giorno oggetto di analisi e per quello successivo, che ci siano nuovi superamenti o meno.

Fonte: ARPAE

Il verificarsi di queste condizioni viene verificato da Arpae e pubblicato nei giorni di controllo, ossia il lunedì , il mercoledì e il venerdì, nel bollettino Liberiamolaria. Per capire meglio il meccanismo basta rifarsi all’esempio concreto proposto dallo stesso Poluzzi, il quale spiega come “il lunedì, Arpae legga e valuti i dati sulla qualità dell’aria di tutta la regione Emilia-Romagna. Se vediamo che in corrispondenza di una o più stazioni di monitoraggio posizionate, ad esempio, in un punto della Città metropolitana sono stati superati i limiti di PM10 per 3 giorni consecutivi (quindi sia venerdì che sabato e domenica), allora attiviamo la seconda fase di verifica, ossia la condizione predittiva che include il giorno di controllo (lunedì) ed il giorno successivo (martedì). Se osserviamo un’alta probabilità che si manifestino nuovi superamenti in almeno una stazione di monitoraggio del territorio metropolitano, allora si verifica la duplice condizione e possiamo dare il via all’attivazione delle misure emergenziali. Nel caso di previsioni favorevoli alla dispersione degli inquinanti per tutte le stazioni della provincia, invece, le misure non si attivano”.

E se piove, cosa succede? “La risposta – continua Poluzzi – non è così semplice. In caso di pioggia o vento forti, i livelli di PM10 nell’aria si disperdono, vengono diluiti e fatti ricadere e depositare al suolo. In questi casi, dunque, non è necessario prendere provvedimenti aggiuntivi rispetto alle normali misure di miglioramento della qualità dell’aria”.

Tuttavia, spesso accade che le precipitazioni e il vento siano talmente deboli che non si generano le condizioni utili per disperdere gli inquinanti emessi. E la geometria delle strade del centro cittadino, spesso strette e con la presenza di alti edifici ai lati, è tale da provocare un effetto canyon che rende ancora più problematico il ricambio delle masse d’aria.

Queste situazioni sono inoltre influenzate dalla conformazione morfologica della Pianura Padana dove, in generale, a causa delle catene montuose che la circondano, i ricambi naturali delle masse d’aria sono difficili. Condizioni di stabilità atmosferica, che si realizzano quando viene impedito il movimento verticale delle masse d’aria, causano infatti l’accumulo di inquinanti a bassa quota che continuano a reagire con i cosiddetti precursori (i famosi inquinanti primari di cui abbiamo parlato all’inizio di questo articolo) o con altre sostanze pre-esistenti. È un po’ come se l’atmosfera fosse un enorme reattore dove, da certi composti, se ne originano altri che, a loro volta, si andranno a sommare ai precedenti.

Per le sue valutazioni, Arpae si avvale quindi sia dei dati osservati dalle stazioni di misura sia di modelli previsionali e analisi statistiche. Le stazioni di osservazione sono sparse su tutto il territorio regionale e seguono i metodi richiesti dalle normative per le misure dei singoli inquinanti. I modelli di simulazione utilizzati per le previsioni si basano sui dati meteorologici (ventosità, stabilità atmosferica, altezza media dello strato di dispersione degli inquinanti, piovosità, ecc), su informazioni relative alle emissioni (traffico veicolare, riscaldamento, attività produttive e di servizio, agricoltura, ecc), sulle principali reazioni chimiche che avvengono in atmosfera (l’insieme delle reazioni che avvengono e che coinvolgono le varie sostanze) e sulla morfologia del territorio (la presenza di colline, montagne, pianura, mare, città, ecc). I dati vengono poi elaborati e interpretati utilizzando tecniche statistiche con l’obiettivo di minimizzare il più possibile le incertezze di stima.

“Un lavoro articolato e complesso – afferma Poluzzi – sul quale comunque pesa anche una – sebbene piccola – componente soggettiva del valutatore”.

Cosa richiedono le misure emergenziali

Per quanto riguarda il traffico veicolare, le misure emergenziali prevedono il blocco della circolazione di tutti i mezzi diesel fino alla categoria Euro 4 esteso a tutti i veicoli (auto e commerciali) e in aggiunta alle limitazioni ordinarie.

Automobili

Fonte: Life of Pix/Pexels

Tra le misure figura, inoltre, il blocco degli impianti a biomassa per uso domestico fino a 3 stelle comprese e in presenza di impianto alternativo; l’obbligo di abbassamento del riscaldamento fino a 19 °C nelle case, e 17 °C nei luoghi di attività produttive e artigianali; i divieti di combustione all’aperto (tra cui falò, barbecue, fuochi d’artificio, ecc…), di sosta e fermata con il motore acceso per tutti i veicoli, di spandimento di liquami zootecnici senza tecniche ecosostenibili e, infine, il potenziamento dei controlli sulla circolazione dei veicoli nei centri urbani.

Per spiegare quali mezzi possono circolare nei giorni in cui sono attive le misure emergenziali, il Comune di Bologna ha predisposto un apposito documento riassuntivo.

Il ruolo dei cambiamenti climatici nell’attivazione delle misure emergenziali

E i cambiamenti climatici, che ruolo hanno? Gli eventi estremi, peggioreranno o miglioreranno la situazione della qualità dell’aria? Secondo Poluzzi, l’insieme di tutte le componenti del cambiamento climatico hanno un ruolo e sono destinate ad influire sulle condizioni dell’inquinamento della bassa troposfera, ossia la regione dell’atmosfera che dal suolo si estende fino a 10-15 chilometri e dove la temperatura decresce con la quota. Tuttavia, come lo faranno e con quanta forza, non è ancora dato saperlo con certezza ed è oggetto di studio da parte degli scienziati“.

“Da ottobre a marzo, negli ultimi anni, ci stiamo abituando a osservare periodi spesso lunghi di siccità (o meglio, di stabilità atmosferica) e periodi brevi di pioggia concentrata che impediscono la dispersione degli inquinanti sia verso l’alto che orizzontalmente. Questa condizione, dovuta alla presenza di sistemi anticiclonici persistenti, tende a provocare un numero maggiore di eventi di inquinamento. Nel futuro potrebbe però accadere che, paradossalmente, in presenza di temperature più alte nel periodo invernale, la qualità dell’aria tenda invece a migliorare grazie a condizioni più favorevoli alla dispersione dell’inquinamento atmosferico quali potrebbero essere, ad esempio, un incremento della frequenza di arrivo di perturbazioni o una minor presenza di fenomeni di inversione termica.

Quali di questi fenomeni prevarrà, quindi? A oggi risulta molto difficile rispondere a tale domanda e qualsiasi previsione di come il cambio climatico impatterà sui fenomeni che regolano l’inquinamento della bassa atmosfera potrebbe rivelarsi non corretta”.

Ma, ancora una volta, il quadro va analizzato da un prospettiva più ampia e quella che potrebbe sembrare una buona notizia nel periodo invernale, ossia temperature più elevate, diventa una pessima novità per il periodo estivo. Nei mesi più caldi, infatti, le particolari condizioni di alta pressione caratterizzate da elevate temperature, scarsa ventilazione e forte insolazione determinano concentrazioni elevate di ozono e smog fotochimico”, intendendo con questo termine l’insieme degli inquinanti di tipo secondario formati dall’azione della luce del sole sugli ossidi di azoto e gli idrocarburi. Si tratta di un inquinamento dell’aria che assume il tipico colore dalle sfumature gialle, arancioni e marroni, e che si produce in giornate con meteo stabile e forte insolazione, durante le quali gli ossidi di azoto e i composti organici volatili emessi in atmosfera dalle attività umane, e da processi naturali, subiscono una serie di reazioni fotochimiche indotte dalla luce ultravioletta dei raggi solari.

Lockdown e misure emergenziali

Ad impegnare tecnici e scienziati negli ultimi mesi, ci ha pensato anche il lockdown che ha rappresentato un banco di prova per le misure di miglioramento della qualità dell’aria.

Come spiega lo stesso Poluzzi, “durante il lockdown che ha costretto a casa la maggior parte delle persone da marzo a maggio, c’è stata una diminuzione degli ossidi di azoto provenienti dal traffico veicolare e dalle combustioni. Ma va sottolineato che era una diminuzione abbastanza scontata, visto che il traffico veicolare è diminuito di circa l’80% in alcune aree della Pianura Padana, ed è quindi evidente che la nostra aria abbia beneficiato di una diminuzione di inquinanti primari come il benzene”.

Fonte: Kate Trifo/Pexels

Tuttavia, con l’allentamento delle misure restrittive della circolazione, le emissioni del traffico veicolare hanno cominciare gradualmente a crescere fino a tornare a livelli pressoché normali.

Non è invece diminuito in modo sostanziale il PM10: “quello che abbiamo registrato, infatti – continua Poluzzi – è una sorta di shift modale: dalle emissioni dovute al traffico si è passati ad un aumento dell’inquinamento dovuto ad un maggiore uso di combustibili per riscaldare le mura domestiche”.

Un discorso simile può essere fatto per le emissioni di ammoniaca che non hanno subito significative riduzioni dal momento che il settore agricolo, comprensivo dello spandimento di liquami da zootecnia, non è stato praticamente interessato da misure restrittive.

Questo dato è particolarmente interessante perché conferma quanto dimostrato da una serie di studi sviluppati da Arpae, e altre Agenzie regionali di protezione dell’ambiente, tra cui Supersito: tra i precursori più importanti per la composizione di particolato secondario, tra cui il PM10, figura proprio l’ammoniaca derivante dall’agricoltura e dalla zootecnia.

Affermazione che trova conferma sia nei dati degli inventari delle emissioni, che evidenziano come la prima fonte di emissione per gli ossidi di azoto sia il traffico veicolare, in particolare diesel, e dal dataset prodotto nell’ambito del progetto Life Prepair che spiega come nel bacino padano circa il 97% delle emissioni di ammoniaca derivi dall’agricoltura e dalla zootecnia. Una componente importante di queste emissioni è dovuta allo spandimento di liquami di origine zootecnica effettuato per concimare i terreni.

Da quanto scritto, emergono con chiarezza le numerose variabili che è necessario tenere in considerazione per dare avvio a misure emergenziali per migliore la qualità dell’aria in una zona geografica già particolarmente complessa.

Verrebbe dunque da chiedersi se i modelli utilizzati, e le misure adottate fino ad ora siano da considerarsi ancora uno strumento valido, anche alla luce delle nuove sfide che si pongono davanti sia ai cittadini che agli scienziati e ai tecnici chiamati a promuovere soluzioni efficaci sul medio e lungo periodo.

Per rispondere ad alcune di queste domande, e provare a risolvere almeno alcuni dei dubbi che possono assalirci, nelle prossime settimane pubblicheremo un nuovo articolo di approfondimento dedicato alle misure emergenziali e agli strumenti in nostro possesso per migliorare la qualità dell’aria.

Valeria Barbi – Fondazione Innovazione Urbana

Valeria si occupa di cambiamenti climatici e sostenibilità, dapprima nell’ambito della ricerca e dello studio delle politiche, e poi degli impatti sugli ecosistemi e l’ambiente urbano. E’ divulgatrice scientifica e, per la Fondazione, coordina i progetti europei e collabora al progetto editoriale Chiara.eco