Inverni più miti in Emilia-Romagna: un “bene” solo per la crisi energetica, non per l’ambiente

In Italia la gestione degli impianti di riscaldamento è regolata da un decreto del 1993, che stabilisce per esempio quando e per quante ore è consentita l’accensione degli impianti, in base alla collocazione geografica. Ma i dati climatici su cui è basata questa suddivisione risale agli anni Ottanta e nel frattempo il clima è cambiato. Ma solo ora, con la crisi energetica, risparmiare energia diventa una priorità.


Chi abita nella città metropolitana fuori dall’Appennino ci sarà abituato. Ai primissimi freddi (parliamo di ottobre), diversi sindaci autorizzano l’accensione dei riscaldamenti in deroga, cioè con qualche giorno di anticipo rispetto alla legge. Quest’anno probabilmente non andrà così. Il gas a buon prezzo è per ora un ricordo, e bisogna correre ai ripari. La comunicazione però lascia un po’ a desiderare.

Il 2 settembre, sul sito della Regione, è uscito un contenuto intitolato Inverni più caldi: un’opportunità per ridurre i consumi e le emissioni, che rimanda a un articolo di questa primavera sulla rivista Ecoscienza basato su dati ARPA. Nonostante il tono del titolo, questa non è esattamente una buona notizia, né tantomeno si tratta di una “opportunità” in mano ai cittadini.

 

Le fasce climatiche italiane per il riscaldamento

In Italia il Dpr 412/1993 regola il periodo e le ore di esercizio degli impianti di riscaldamento, sia in edifici pubblici che privati. A questo scopo, il decreto divide il territorio italiano in sei fasce climatiche, dalla A (più caldo) alla F (più freddo). Le diverse fasce climatiche sono definite in base alla somma dei gradi giorno, che misura il fabbisogno energetico in una località. Ogni giorno in cui la temperatura media esterna è inferiore a 20 gradi (la temperatura di casa), si fa la differenza e si ottengono i gradi giorno. Più gradi giorno si contano nell’anno, più serve riscaldamento. Oltre a questo, si considera che il periodo di riscaldamento va dai primi tre giorni autunnali con temperatura media sotto i 12 gradi, ai primi tre giorni primaverili con temperatura media superiore ai 12 gradi.

Nel frattempo il clima è cambiato

Questa divisione in fasce climatiche risale agli anni ’80. Da allora, in tutta Italia, le cose sono molto cambiate. Molti comuni ora si trovano in fasce più calde rispetto al 1993. Inoltre questi comuni ospitano anche molte più persone rispetto a 30 anni fa. I tecnici dell’ARPA autori dell’articolo su Ecoscienza spiegano che questo è evidente in Emilia-Romagna. Con i dati del dataset Erg5, che raccoglie le misure meteo orarie e giornaliere in tutta la regione dal 2001, è infatti possibile aggiornare, comune per comune, le fasce climatiche regionali.

emilia romagna fasce climatiche

Suddivisione dei 350 comuni dell’Emilia-Romagna in fasce climatiche in base al Dpr 412/1993 (sopra) e in base ai dati Erg5 2001-2021 (sotto). Immagine: Ecoscienza

Le immagini parlano da sole: nel settore orientale, Bologna inclusa, la regione si colora di giallo, passando dalla fascia E (accensione del riscaldamento il 15 ottobre) alla fascia D (accensione il  primo novembre). I tecnici argomentano che aggiornando le fasce climatiche dei comuni coi nuovi dati si avrebbero notevoli risparmi energetici, oltre a una migliore qualità dell’area. Il risparmio si aggirerebbe sui 15 ktep (chilotep, cioè migliaia di tonnellate equivalenti di petrolio), che eviterebbero l’emissione di 37 Kt (chilotonnellate) di anidride carbonica.

Perché non è una buona notizia

Più fa caldo, meno serve scaldare: purtroppo non è una novità. Il rapporto energia 2020 (dati 2017) di ARPA spiega che dal 2002 i consumi termici residenziali sono diminuiti di quasi il 10% anche per effetto delclima. Per esempio, il 2014 è stato particolarmente mite, e di conseguenza quell’anno i consumi sono stati molto ridotti. E dal momento che il riscaldamento domestico è dominato dal gas, riscaldare meno significa anche meno emissioni. Parlarne in termini di “opportunità”, come ha fatto la Regione, è però quanto meno discutibile. Un inverno più mite è infatti solo una delle manifestazioni del riscaldamento globale (come ben spiegano anche altri articoli del fascicolo di Ecoscienza), e non dovrebbe essere una gran consolazione sapere che “grazie” a questo consumeremo comunque meno energia, in media, negli anni a venire.

I tecnici hanno tutte le ragioni di caldeggiare una riforma delle fasce climatiche, in modo da ottimizzare il risparmio energetico alle nuove condizioni, per quanto preoccupanti. Quello che stona, nella scelta comunicativa della Regione, è il tempismo. Sembra che solo ora, quando non c’è alcuna speranza che il gas torni disponibile a prezzi bassi, e che la torrida e siccitosa estate è finita, la crisi climatica e la scienza “torni buona” per convincere (o piuttosto preparare) i cittadini che occorre fare la propria parte, ricordando quello che gli esperti avevano messo nero su bianco diversi mesi prima.

Per quest’anno, poi, le decisioni sono già prese. Stando al cosiddetto piano Cingolani (a giorni il decreto) i termosifoni a Bologna si accenderebbero non prima del 22 ottobre (invece del 15), e per al massimo 13 ore (invece di 14). L’ obiettivo naturalmente non è il clima, ma superare nel breve termine la tempesta della crisi, e infatti è molto meno “radicale” della revisione delle fasce proposta dai ricercatori ARPA.

 

stefano dalla casa