La giustizia climatica e la sua trasformazione

Tra il 12 e il 15 ottobre 2023 Milano ospita la prima conferenza mondiale sulla giustizia climatica. Si tratta di una iniziativa organizzata dal basso, tra gli altri, dai movimenti per il clima Fridays For Future, Extinction Rebellion, Ecologia Politica, Ultima Generazione, Piano Terra. In questa occasione ospitiamo un commento sulle trasformazioni delle lotte sulla giustizia climatica scritto da due persone coinvolte sia come attiviste, sia come studiose delle lotte sociali e autori di un recente libro intitolato “L’era della giustizia climatica. Prospettive politiche per una transizione ecologica dal basso” (Orthotes Editrice, 2023).


La giustizia climatica degli anni Novanta non è la stessa di quella che abbiamo di fronte oggi. Essa ha subito una vera e propria metamorfosi. Ciò su cui vorremmo riflettere qui, in vista del World Congress for Climate Justice di Milano (12-15 ottobre 2023) è la parte di elaborazione “positiva” implicata in tale metamorfosi. Se il momento “negativo” – l’effetto-Greta – si trova nel rifiuto di legittimare politicamente la governance climatica transnazionale, la spinta in avanti – la visione-Greta – sta in un allargamento dell’orizzonte complessivo della lotta per il clima, nonché in un approfondimento della sua radicalità. È bene ribadire che la visione-Greta non esaurisce lo spazio di conflitto sociale schiuso dall’effetto-Greta: è cioè perfettamente legittimo abitare il processo di convergenza senza concordare con quanto Thunberg suggerisce nei suoi scritti e nei suoi interventi pubblici (è capitato, del resto, anche a noi; e in più di un’occasione). Semplicemente, ci interessa precisare da un lato il contesto politico in cui una nuova istanza di movimento è emersa – nella crisi del Sistema delle COP (Conferenze delle Parti) – e dall’altro la dinamica attraverso la quale la giustizia climatica ha “allargato” il suo raggio d’azione da un focus esclusivo sulla diseguaglianza lungo l’asse Nord-Sud a un’attenzione profonda e ricca di potenzialità verso la questione sociale, cioè verso la diseguaglianza lungo l’asse redditi alti-redditi bassi.

Per comprendere questa “svolta”, passiamo in rassegna alcune caratteristiche originali del movimento di massa per la giustizia climatica. Occorre cominciare con un dato storico: le piazze climatiche del 2019 sono legate al ciclo di lotte “anti-austerità” (attivo dal 2011), il che significa che nascono in un momento di crisi della globalizzazione neoliberale. Tale contingenza le distingue nettamente dalla giustizia climatica delle origini e contribuisce a spiegare l’originalità di alcuni dei loro tratti chiave. In primo luogo, queste piazze hanno cambiato completamente la percezione collettiva del riscaldamento globale: da scenario apocalittico, foriero di sventura, a tema propulsore della mobilitazione giovanile, a livello mondiale. Provate a pensarci: fino a pochi anni fa, pronunciare la formula “cambiamento climatico” significava evocare nella mente dell’interlocutore immagini di disastri ambientali e sofferenze umane; ora, invece, a queste si affianca un immaginario ben più appetibile, popolato di strade ricolme di ragazze e ragazze, di voci pronte a rivendicare potere decisionale sul proprio destino, di cartelli pieni di passione per la riconquista del futuro. È una risposta politica all’eco-ansia (il contrario, cioè, della sua accettazione passiva). Nelle parole di Thunberg: «Qualcuno sostiene che la crisi climatica porti le persone alla depressione, le impaurisca fino a paralizzarle. La mia esperienza è esattamente l’opposto: chi comprende le possibili conseguenze inizia a combattere». In questa compresenza tra consapevolezza della catastrofe in corso e convinzione di poterla affrontare si situa la temporalità paradossale propria della giustizia climatica: “non c’è più tempo” per la governance climatica transnazionale; simultaneamente, però, “siamo ancora in tempo” – se si cambia registro in profondità.

In secondo luogo, le piazze hanno incorporato la centralità del transfemminismo – il riferimento è in particolare a Non Una Di Meno – non solo per quanto riguarda i repertori critici, ma anche, più direttamente, all’interno della sua struttura organizzativa: Greta Thunberg è da sempre accompagnata da giovani donne come Helena Gualinga, Vanessa Nakate, Luisa Neubauer, Angela Valenzuela. In terzo luogo, dentro e contro il processo di climatizzazione del mondo, cioè la dinamica centripeta che rende il riscaldamento globale un prisma in grado di leggere la quasi totalità dei fenomeni sociali, queste piazze hanno trasformato la giustizia climatica da posizione interlocutoria e settoriale a quadro politico generale per la pratica e la teoria della convergenza di lotte diverse – apparentemente non legate, o comunque non prioritariamente, all’ecologia. Si tratta di una sorta di effetto sineddoche[1], tale per cui ogni azione volta a proteggere l’ambiente – ma anche ogni riflessione volta a meglio comprendere la fenomenologia sfaccettata della crisi biosferica – viene per l’appunto risemantizzata in termini climatici. Si dice “clima” ma si intende “ecologia”, in generale: la parte per il tutto. È un modo per trasformare il movimento di lotta per il clima – l’unico, al momento, ad aver raggiunto dimensioni di massa e planetarie – in una cassa di risonanza per tutte le istanze di giustizia ambientale. Ed è su queste basi “espansive” che incontri come il World Congress for Climate Justice possono da un lato accelerare e dall’altro sedimentare pratiche di convergenza che a oggi non hanno ancora trovato modalità efficaci di generalizzazione.

 

Paola Imperatore e Emanuele Leonardi

 

Paola Imperatore svolge attività di ricerca presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. I suoi interessi di ricerca includono la giustizia ambientale, l’ecologia operaia e le politiche climatiche. Co-dirige, assieme a Ilenia Iengo, la rubrica “Italian Political Ecologies” per il blog Undisciplined Environments. Ha recentemente pubblicato Territori in lotta (2023).

Emanuele Leonardi svolge attività di ricerca presso il Dipartimento di Sociologia e diritto dell’economia dell’Università di Bologna. I suoi interessi di ricerca includono l’ambientalismo del lavoro, l’ecologia politica e la teoria sociale. Co-dirige, assieme a Giulia Arrighetti, la rubrica “Ecologie della trasformazione” per il blog Le parole e le cose.

 

[1]Figura retorica per la quale si usa in senso figurato una parola di significato più ampio (o meno ampio) di quella propria. Per esempio, una parte per il tutto (“prora” per “nave”).

Immagine in apertura: locandina della World Conference on Climate Justice