Cosa significa net zero e perché non equivale a zero emissioni

Sono in aumento i paesi, le città e le aziende che si pongono obiettivi di neutralità. Analizziamo le caratteristiche e i limiti delle strategie net zero, per capire perché sono diverse da quelle “zero emissioni”

 

Sono 151 (sulle 198 totali) le nazioni al mondo che hanno proposto o stanno attuando piani per raggiungere l’obiettivo del net zero, secondo il registro di politiche per la neutralità Net Zero Tracker. Dagli Accordi di Parigi del 2015, in cui gli stati firmatari si sono impegnati – tra le altre cose – a “raggiungere un equilibrio tra le fonti di emissioni antropogeniche e gli assorbimenti dai pozzi dei gas serra nella seconda metà di questo secolo”, c’è stata una proliferazione di promesse di raggiungere la neutralità carbonica da parte di paesi, aziende, enti locali e altre organizzazioni. Il 65% delle 2000 più grandi aziende quotate in borsa hanno obiettivi per raggiungere lo zero netto di emissioni.

Il termine “netto” è importante perché evidenzia il fatto che ridurre le emissioni a zero è molto difficile in alcuni settori, come per esempio la produzione di acciaio o l’aviazione. Secondo accademici e gruppi di attivisti come Real Zero Europe, però, l’attenzione sul concetto di “neutralità” nasconde dei rischi: focalizzandosi su piani e promesse per neutralizzare le emissioni, si rischia di perdere di vista – o peggio, di nascondere volutamente – l’obiettivo di tagliare alla base le fonti di emissione, spostando invece l’attenzione sulle strategie di compensazione, soprattutto in settori che potrebbero puntare alle emissioni zero. Per capire il dibattito, facciamo un passo indietro e vediamo cosa significa net zero e perché non equivale a zero emissioni.

 

Cos’è il net zero

L’espressione net zero (zero netto) indica uno stato in cui i gas a effetto serra che entrano nell’atmosfera sono bilanciati da quelli che vengono rimossi dall’atmosfera. Per raggiungere questo stato, le emissioni di gas serra devono essere ridotte o si deve garantire che siano bilanciate da sistemi di assorbimento. Il termine net zero ha preso piede soprattutto dal 2018 in poi, dopo la pubblicazione dello Special Report on a Global Warming of 1.5°C dell’IPCC, in cui il termine era citato. Secondo il documento, “il raggiungimento e il mantenimento dello zero netto di emissioni CO2 antropogeniche e la diminuzione del forcing radiativo netto non-CO2 arresterebbero il riscaldamento globale antropogenico nel corso di alcuni decenni”. In breve, l’obiettivo net zero è importante perché, almeno per la CO2, questo è lo stato che farebbe arrestare il riscaldamento globale. 

Secondo il gruppo di ricerca Oxford Net Zero, oggi la quasi totalità dell’assorbimento di CO2 dall’atmosfera (o CDR, Carbon Dioxide Removal letteralmente “rimozione di anidride carbonica”) deriva da metodi convenzionali come l’imboschimento (2 GtCO2/anno). Solo lo 0,1% (0,002 GtCO2/anno) arriva da tecnologie nuove, come la cattura e lo stoccaggio di carbonio. Per fare un confronto, nel 2022 le emissioni globali sono state l’equivalente di quasi 54 Gt di CO2. 

Anche con gli attuali piani di riduzione delle emissioni, Oxford Net Zero sottolinea che “c’è un grande divario tra la quantità di CDR che i Paesi stanno pianificando e quella necessaria per raggiungere l’obiettivo degli Accordi di Parigi. Per limitare le temperature al di sotto dei 2 °C potrebbe essere necessaria una quantità di CDR dalle nuove tecnologie 1.300 volte superiore, e il doppio da alberi e suoli”. 

 

I limiti degli obiettivi di neutralità

Gli obiettivi e i piani per la neutralità adottati da enti e aziende negli ultimi anni soffrono di alcuni problemi. Per esempio, non è sempre chiaro cosa esattamente si intenda con gli stessi termini net zero, neutralità carbonica o neutralità climatica, usati a volte come intercambiabili e a volte con significati precisi. Secondo Oxford Net Zero, infatti, la neutralità carbonica è la situazione in cui le attività umane hanno un contributo netto pari a zero sulle emissioni di CO2: questo termine non include però le emissioni di gas serra diversi. La neutralità climatica invece è lo stato in cui le attività umane non hanno effetti sul clima globale, e oltre all’emissione di gas serra include anche altri fattori (come il cambiamento di uso di suolo, che può cambiare l’albedo della superficie terrestre e quindi l’assorbimento di radiazione solare). 

Negli obiettivi di neutralità non sempre vengono considerate le emissioni di gas serra in generale, ma si fa riferimento solo alle emissioni di CO2. Tuttavia altri gas hanno caratteristiche che rendono necessari piani specifici per ridurne le emissioni: il metano, per esempio, è un gas serra molto potente, ma di breve vita in atmosfera. Invece alcuni gas fluorurati, usati nei condizionatori e nei sistemi di raffreddamento, hanno un impatto ancora maggiore sul riscaldamento globale e possono rimanere in atmosfera anche per millenni. I piani concreti di neutralità, quindi, dovrebbero includere misure per tutti i gas serra.

Inoltre, i pledge di neutralità delle aziende spesso variano nel considerare quali emissioni conteggiare. C’è chi considera solo le emissioni dirette, senza contare quelle indirette derivate dall’energia acquistata (per esempio l’energia elettrica). O anche quelle derivate dalla filiera dei prodotti usati dall’azienda (come per esempio le materie prime impiegate nella produzione) o dal trasporto dei beni. Queste distinzioni, per esempio, permettono paradossalmente ad alcune aziende petrolifere di dichiararsi net zero, escludendo dal loro conteggio le emissioni prodotte dalla combustione del petrolio, che viene considerata a carico dei clienti e non dell’azienda stessa.

 

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Il nodo della compensazione

Nel modello net zero, per gestire la (limitata) dose di emissioni che dovrebbe rimanere dopo la riduzione alla fonte entra in gioco la compensazione (detta anche offset). Con questo termine si intende una riduzione o rimozione di emissioni per compensare emissioni prodotte altrove. In genere, le azioni di compensazione sono progetti di forestazione o di protezione delle foreste, impianti di produzione di energia rinnovabile e progetti di efficientamento energetico. Questo sistema prevede che la riduzione possa essere affrontata in modo collettivo: un’azienda o un paese, per esempio, possono pagare – acquistando i cosiddetti “crediti di carbonio” – perché altri mettano in campo azioni di compensazione.

Perché l’azzeramento netto delle emissioni sia efficace, deve essere permanente: i gas serra assorbiti quindi non devono ritornare nell’atmosfera nel tempo. È su questo aspetto che emergono alcuni problemi: se le foreste su cui conta l’offset vengono distrutte – per esempio a causa di incendi, che in alcune zone stanno diventando più frequenti proprio per effetto del cambiamento climatico – la compensazione va in fumo.

Inoltre, ci sono molti dubbi sull’accuratezza dei sistemi di offset nel calcolare le effettive emissioni che possono essere compensate da diversi progetti. Recenti inchieste che hanno coinvolto alcuni tra i più grandi attori nel settore evidenziano che una buona percentuale di offset potrebbero essere in realtà “crediti fantasma”, che non compensano realmente le emissioni.

 

Obiettivo zero assoluto

In un contributo su The Conversation, gli scienziati del clima James Dyke, Robert Watson e Wolfgang Knorr scrivono: “Siamo arrivati alla dolorosa consapevolezza che l’idea del net zero ha dato adito a un approccio “brucia ora, paga dopo” del tutto sconsiderato, che ha portato le emissioni di carbonio a continuare a salire”.

Non sono gli unici a pensarla così. La campagna Real Zero Europe, che raggruppa gruppi di esperti, fondazioni e movimenti, chiede che l’Unione Europea attui “vere riduzioni nelle emissioni di carbonio e vere soluzioni alla crisi climatica, invece di un net zero frutto di corporate greenwashing”. Queste soluzioni sono, per esempio, la transizione energetica con fonti rinnovabili, lo stop a nuove estrazioni di combustibili fossili e la rigenerazione degli ecosistemi.

Secondo l’IPCC, raggiungere (e mantenere) l’obiettivo dello zero netto di emissioni globali entro il 2050 aiuterà a prevenire gli effetti più gravi del cambiamento climatico. Ma come sottolinea Oxford Net Zero in un report, “i sistemi che garantiscono la responsabilità e la trasparenza [dei target net zero] sono stati in grado di tenere il passo, e ciò ha portato all’assenza di un modo per distinguere tra gli obiettivi che sono accompagnati da piani, meccanismi di responsabilità e un impegno serio, e quelli che consistono in una mera retorica”. Il fatto che dal 2015 a oggi gli obiettivi di neutralità si siano moltiplicati è un passo avanti. Ma per essere davvero una garanzia, devono includere obiettivi ben definiti nel tempo e politiche realistiche per ridurre le emissioni. 

 

di Anna Violato – formicablu

Anna Violato è una comunicatrice della scienza freelance che vive a Bologna. Collabora con testate come Nature Italy, Le Scienze e RADAR Magazine, con lo studio di comunicazione scientifica formicablu e con diverse case editrici.

Foto di copertina: Dids/Pexels