Non solo Bologna: altre Città 30 in Italia e in Europa

Da Olbia a Cesena, da Amsterdam a Edimburgo passando per la Spagna, sono sempre di più le città (e a volte i Paesi interi) che da anni limitano la velocità sulle loro strade: che cosa dicono i dati di queste esperienze?

Dall’inizio del 2024, Bologna è la prima grande città italiana ad adottare il modello “Città 30”, una strategia di mobilità basata sull’imposizione di un limite di velocità di 30 km/h nelle principali aree di una rete stradale urbana nel tentativo di ridurre gli incidenti, nonché l’inquinamento acustico e atmosferico (come abbiamo raccontato anche in questo podcast). Ma questo modello, che a tutt’oggi continua ad animare il dibattito cittadino (e non solo) dividendo la popolazione tra persone favorevoli e scettiche, viene da lontano. Per capirlo meglio possiamo guardare altri esempi in Italia e in Europa che da anni hanno adottato queste misure.

 

Le prime città 30 italiane

Nel nostro Paese il primo centro urbano a limitare la velocità in tutte le strade cittadine è stato Olbia, diventata ufficialmente una “Città 30” dal giugno 2021, con l’obiettivo dichiarato sia di aumentare la sicurezza stradale sia di promuovere la mobilità sostenibile. Se poi facciamo ancora un passo indietro e consideriamo l’antenato di questo modello, dobbiamo risalire al 1998 quando Cesena è stato il primo Comune in Italia a introdurre le “Zone 30”, ovvero il limite dei 30 km/h in alcune strade cittadine. Da allora queste zone sono costantemente aumentate, tanto che oggi si estendono per 143 km e su oltre 1000 ettari di superficie, interessando il 38% della popolazione di Cesena.

Negli anni seguenti molte altre città italiane hanno adottato le “Zone 30” con successo e stanno ora mettendo in atto dei percorsi di avvicinamento verso l’obiettivo di abbassare il limite di velocità sull’intera rete stradale urbana: da Torino a Lecce, da Procida a Treviso… Olbia prima e Bologna poi sono dunque le apripista delle “Città 30” italiane, ma sono in buona compagnia in tutta Europa, con decine di città grandi e piccole e a volte interi Paesi che hanno già ridotto i limiti di velocità per aumentare la sicurezza e trasformare il modo in cui le persone interagiscono con gli spazi urbani. Ma questo modello mantiene effettivamente le sue promesse? I dati reperibili finora suggeriscono di sì.

 

I primi esempi in Austria e Paesi Bassi

La prima città europea ad adottare il modello “Città 30” è stata Graz, che nel 1992 ha iniziato a imporre la velocità massima di 30 km/h sulle strade cittadine. Oggi il limite è ancora in vigore su circa l’80% della rete stradale urbana. Anche in Austria all’inizio c’è stata una certa resistenza contro questa misura, che invece oggi non è più messa in discussione grazie ai risultati ottenuti: una migliore qualità dell’aria (la concentrazione di NOx nelle strade a 30 km/h è diminuita del 24%), meno rumore (diminuito fino a -1,9 decibel) e soprattutto meno incidenti stradali pericolosi. Infatti, con l’introduzione del limite di velocità, già nei primi 2 anni il numero di incidenti stradali è sceso del 25% e davanti alle scuole il rischio di incidente mortale è addirittura diminuito del 90%. Ovviamente gli incidenti non sono spariti del tutto, ma circa l’80% avviene sulle strade con il limite a 50 km/h che sono un quinto dell’intera rete urbana.

Un altro esempio virtuoso è Amsterdam, che dal 2023 ha deciso di introdurre i 30 km/h sull’80% delle strade urbane, con un graduale percorso di modifica di tutta la segnaletica e di adattamento dei cittadini e delle cittadine a guidare nel rispetto del nuovo limite di velocità. Nei Paesi Bassi la sensibilità sui temi della sicurezza sulle strade viene da lontano: infatti, la prima applicazione del concetto di “Zona 30” risale all’inizio degli anni ’70, quando un gruppo di genitori bloccò un intero quartiere per chiedere che nessun altro bambino morisse in incidenti stradali. Era l’inizio della campagna Stop de Kindermoord (“Stop alla strage di bambini”), che alla fine ha portato Amsterdam a diventare la capitale della bicicletta come la conosciamo oggi.

Le strade di Amsterdam in cui il limite è sceso a 30 km/h (in blu) e dove è rimasto a 50 km/h (in rosso).

Anche il vicino Belgio conta un buon esempio di “Città 30”, infatti Bruxelles ha adottato questo modello nel 2021 e già nel primo anno di applicazione si è notata una riduzione visibile e costante della velocità media su tutte le strade; la stessa tendenza si è mantenuta negli anni successivi. Non ci sono state sensibili variazioni dei tempi di percorrenza, che sono rimasti pressoché stabili su ogni percorso valutato, indipendentemente dall’ora del giorno. Inoltre, si è registrata una sensibile diminuzione del rumore, compresa tra -1,5 e -4,8 decibel a seconda dell’orario, del luogo, del tipo di traffico e di manto stradale. Ma, dato ancora più importante, il numero di pedoni uccisi o gravemente feriti nel traffico è diminuito costantemente: da 11 morti e 121 feriti gravi nel 2020 a 5 morti e 100 feriti gravi nei primi nove mesi del 2021. Un bilancio più che positivo per la capitale belga che si è impegnata a raggiungere l’ambizioso obiettivo di zero morti e feriti gravi sulle strade entro il 2050.

 

Londra, Edimburgo e l’intero Galles

Londra ha introdotto nel 2020 il limite di velocità di 20 mph (20 miglia all’ora cioè 32 km/h) in tutta la zona a traffico limitato. Oggi in oltre la metà delle strade londinesi vige questo limite, con l’obiettivo di applicarlo su ulteriori 220 km stradali entro il 2024. L’impatto positivo dell’abbassamento della velocità nella capitale inglese è confermato dai dati di Transport for London (TfL): il limite di 20 mph sulle strade principali di Londra ha ridotto del 25% sia le collisioni (da 406 a 304) sia le lesioni gravi e le morti (da 94 a 71). Inoltre, da quando è stato ridotto il limite di velocità, le collisioni con i pedoni sono diminuite del 63% (da 124 a 46) mentre quelle che coinvolgono utenti della strada vulnerabili come ciclisti o persone con disabilità sono calate del 36% (da 453 a 290). Infine, l’analisi dei tempi di percorrenza, dei flussi di traffico e delle velocità dimostra che il limite di velocità di 20 mph non ha aumentato la congestione.

Segnali del limite di 20 miglia orarie oltremanica (dal sito Transport for London).

Sempre nel Regno Unito, anche Edimburgo a partire dal 2016 ha adottato il modello “Città 30” (o meglio 20 mph) e questo limite di velocità è ora presente in circa l’80% delle strade cittadine. Così facendo gli incidenti sono diminuiti del 40%, i feriti del 33% e le vittime del 23%, come è emerso da uno studio pubblicato dall’Università di Edimburgo, che dimostra l’efficacia della riduzione della velocità nella città scozzese.

Mentre l’intero Galles nel 2023 ha deciso di ridurre il limite di velocità da 30 a 20 miglia orarie nelle aree più edificate dei centri abitati, individuate come quelle dove i lampioni si trovano a una distanza non superiore a 180 metri circa l’uno dall’altro. E ha fatto registrare alcuni effetti positivi fin dalla prima settimana: infatti, secondo una ricerca indipendente condotta su dati provenienti dai navigatori satellitari, sono scese sotto le 20 mph le velocità medie su una serie di strade prese come campione in diverse città gallesi. Inoltre, su due percorsi-test di 2,5 km i tempi di percorrenza hanno avuto solo un minimo incremento, compreso tra 43 e 65 secondi. Certo ci sono alcune voci critiche ed è ancora presto per capire se le misure daranno i risultati attesi, ma nel frattempo il limite resta in vigore.

 

Dalla Spagna tante idee innovative

Il primo “Paese 30” però è stata la Spagna, che già nel 2021 ha approvato una modifica al codice della strada che impone il limite massimo dei 30 km/h in tutti i centri urbani (tranne nelle strade a due o più corsie per senso di marcia dove si viaggia a 50 km/h) e addirittura il limite scende a 20 km/h per le strade a senso unico. La misura interessa circa il 70% delle strade spagnole ed è arrivata dopo aver osservato che più della metà delle vittime di incidenti mortali sulle strade urbane erano pedoni o ciclisti.

Tuttavia, alcuni centri urbani in Spagna avevano già implementato il modello “Città 30” e lo avevano adattato alla propria morfologia specifica. Per esempio, a Barcellona già nel 2019 più della metà delle strade cittadine (il 52,3%) aveva il limite di 30 km/h: oggi queste strade sono il 70% della rete viaria totale e l’obiettivo è di estendere la misura a tutta la città. Ma la città catalana ha lavorato per anni anche sul sistema innovativo delle superilles (o “superisolati”) cioè griglie di piccoli quartieri progettati soprattutto per chi va in bici o a piedi, dove il traffico automobilistico è molto limitato e si è recuperato spazio pubblico aumentando il verde.

Uno studio dell’Istituto di Barcellona per la Salute Globale (ISGlobal) stima che, se il progetto municipale di costruire 503 superilles fosse pienamente applicato, si potrebbero evitare 667 morti premature all’anno, l’aspettativa di vita aumenterebbe di quasi 200 giorni in media a persona e si genererebbe un risparmio annuo di 1,7 miliardi di euro. I principali benefici per la salute verrebbero dalla riduzione dell’inquinamento atmosferico (-24% NO2 all’anno) e del rumore del traffico (-5,4%), oltre alla mitigazione dell’effetto isola di calore urbano. Questo si aggiunge al progetto Obrim carrers, che nei fine settimana apre le strade di Barcellona affinché (come dice il sito ufficiale) “le persone possano godersi una città libera da gas di scarico, motorini, automobili e rumore! Stiamo combattendo la crisi climatica riducendo il traffico nelle strade principali della città, trasformandole in luoghi più salutari e accoglienti”.

La viabilità a Barcellona prima e dopo l’introduzione dei “superisolati”.

Finora, quindi, molti dati provenienti dalle “Città 30” indicano vari miglioramenti in termini di sicurezza stradale e qualità della vita. Tuttavia, isolare l’impatto effettivo di una singola politica è difficile, perché spesso il limite di velocità di 30 km/h fa parte di un piano più ampio per promuovere la mobilità sostenibile, che può coinvolgere altre misure come programmi di bike sharing o cambiamenti infrastrutturali. Queste misure spesso vengono applicate contemporaneamente, quindi non è facile capire come ognuna di esse contribuisca ai risultati complessivi. Una tendenza però sembra emergere da tutti questi esempi: in epoca moderna le strade sono state pensate per le auto, ma negli ultimi decenni questo paradigma viene sempre più spesso ribaltato per mettere al primo posto le persone.

 


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In questo contesto, il modello “Città 30” richiede un nuovo modo di vivere nello spazio urbano e una rivalutazione delle esigenze di chi usa i mezzi a motore e di chi va a piedi o in bici. Man mano che sempre più città adottano questo modello e vengono raccolti più dati, diventerà più chiaro quanto sia veramente sostenibile. Al momento comunque sembra funzionare e (come avevamo già scritto) fino a oggi fra le città europee che hanno abbassato il limite di velocità a 30 km/h non c’è stato nessun pentimento.

 

di Sara Urbani – formicablu