Adattamento ai cambiamenti climatici: cosa dice il nuovo Piano Nazionale

Il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici analizza gli impatti che la crisi climatica avrà nel nostro paese: rimane però ancora poco chiaro come li affronteremo (e con quali risorse)

Secondo una recente analisi dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA), in Europa la necessità di misure di adattamento alla crisi climatica sta diventando pressante. “L’Europa è di fronte a rischi climatici urgenti, che stanno crescendo più velocemente di quanto non stia facendo la nostra preparazione al rischio”, ha affermato Leena Ylä-Mononen, Direttrice Esecutiva dell’EEA. “Per assicurare la resilienza delle nostre società, i decisori politici europei e nazionali devono agire ora per ridurre i rischi: sia tagliando velocemente le emissioni sia attuando forti politiche e azioni di adattamento”.

Ma a che punto è l’Italia con le politiche di adattamento? Lo scorso dicembre il governo ha pubblicato il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC), dopo un iter durato più di otto anni. Il documento metterà in atto la già esistente Strategia nazionale di adattamento (che risale al 2015): il PNACC, dunque, stabilisce le azioni per ridurre i rischi legati al cambiamento climatico sul territorio italiano, già storicamente fragile e ora tra quelli in cui gli impatti del clima che cambia si stanno sentendo più forti a livello europeo. 

Alcuni territori italiani però lavorano già in parallelo da anni sulle misure per prepararsi agli impatti del cambiamento climatico: a Bologna, per esempio, il piano di adattamento BLUEAP è stato pubblicato nel 2015 (e vi fanno riferimento pianificazioni successive come il PAESC, il Piano di Azione per l’Energia Sostenibile ed il Clima).

 

Impatti e scenari per l’Italia

Buona parte del Piano Nazionale di Adattamento è dedicata a descrivere i possibili scenari climatici per l’Italia e ad analizzare gli impatti del cambiamento climatico in diversi settori, individuando quelli particolarmente vulnerabili. 

L’Europa meridionale, di cui fa parte anche il nostro paese, è la zona del continente in cui gli impatti del cambiamento climatico si stanno mostrando di più. Al centro c’è il Mediterraneo: le sue acque si stanno scaldando e portano a fenomeni meteo instabili, come periodi di siccità o precipitazioni imprevedibili. Anche l’aumento del livello del mare è una minaccia lenta ma severa, che accelera l’erosione delle coste e aumenta la probabilità di inondazioni dovute alle tempeste. “Nel periodo compreso tra il 2007 e il 2019 il 37,6% dei litorali ha subìto variazioni superiori a 5 metri” a causa dell’erosione, si legge nel Piano.

Per quanto riguarda le risorse idriche, inoltre, il Piano mette in evidenza che nel nostro Paese vengono impiegate “oltre il 30% delle risorse [idriche] rinnovabili disponibili nel nostro paese, ben superiore alla soglia del 20% indicata dall’obiettivo di un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse”. Un dato che ci classifica come esposti a stress idrico medio-alto (secondo l’OCSE). Con il cambiamento climatico, la maggiore incertezza nella disponibilità di acqua avrà conseguenze sull’agricoltura, sull’industria manifatturiera e in generale sui cittadini. 

Altri gravi impatti previsti per il futuro sono le ondate di calore estive, il progressivo ritiro dei ghiacciai e le precipitazioni estreme (con un conseguente aumento del rischio di alluvioni e frane).

 


Come si adatta il territorio agli effetti del cambiamento climatico? Ascolta la puntata del podcast


I problemi del PNACC

Abbiamo scritto che il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici stabilisce le azioni per ridurre i rischi connessi al cambiamento climatico. Sarebbe meglio dire, però, che dovrebbe farlo: in realtà, come hanno commentato alcuni suoi critici (tra cui il gruppo di scienziati Minds for One Health sul sito Scienza in Rete), la sezione del documento che approfondisce le misure e le azioni di adattamento è ancora lontana dall’essere una pianificazione concreta. In una nota, anche il WWF ha commentato che il Piano contiene una “ottima identificazione sintetica dei possibili impatti e problemi, [ma una] scarsa e deficitaria individuazione delle cose da fare e di come finanziarle. Il Piano va quindi preso come un primo passo: ora però tocca ai decreti attuativi e agli organi di governance cercare di correggere gli evidenti limiti e costruire un percorso che porti a quell’approccio sistemico che pure il PNACC richiama”.

Il PNACC individua 361 azioni e misure, divise in vari settori, facendone una valutazione generale di qualità ed efficacia. La mappatura però rimane su un piano generale, senza riferimenti precisi a dove, come e quante volte debbano essere applicate le singole misure sul territorio italiano. 

Anche i tipi di azioni elencate destano qualche perplessità. Le azioni del Piano infatti sono di tre tipi: soft, green e grey. Le azioni soft sono “quelle che non richiedono interventi strutturali e materiali diretti ma che sono comunque propedeutiche alla realizzazione di questi ultimi”, per esempio perché promuovono la diffusione di nuove competenze, metodi o informazioni. Le azioni green e grey, invece, sono azioni materiali, concrete: le prime propongono soluzioni “basate sulla natura”, le seconde invece sono misure per migliorare impianti e infrastrutture.

Il 76% delle azioni elencate dal piano ricadono nella categoria soft. Anche in settori in cui ci si aspetterebbe la pianificazione di misure sul territorio – come il dissesto idrogeologico – le azioni materiali e strutturali sono assenti.

Come finanziare le azioni di adattamento

Il Piano Nazionale di Adattamento porta l’attenzione sul fatto che una stima dei costi delle diverse azioni è difficile a un livello generale: azioni simili in contesti o territori diversi possono avere costi molto variabili. Dato che il PNACC non scende nel dettaglio locale delle azioni, quindi, per la maggior parte di queste le risorse economiche necessarie non vengono stimate.

Consultando le informazioni sulle 361 azioni elencate, solo per 105 è disponibile una stima a grandi linee dei costi. Se contiamo quelle per cui i costi vengono definiti in modo più preciso, il numero scende ad appena una trentina di azioni. Per la metà di queste, però, questo significa che la misura è stata definita “a costo zero”, cioè facendo affidamento su risorse già disponibili all’interno degli enti pubblici. Queste azioni “a costo zero” rientrano tutte nella categoria delle azioni soft e includono, per esempio, misure come la “introduzione nei curricula scolastici di iniziative di educazione alla gestione del rischio geologico, idrologico ed idraulico” e la formazione per maestranze artigiane locali su tecniche edilizie che aiutino a contrastare la crisi climatica.

Il documento non definisce come verranno finanziate le azioni necessarie sul territorio, ma fa una mappatura dei potenziali fondi (europei, nazionali e regionali) che potrebbero andare a coprire alcuni di questi settori di azione. La copertura, però, rimane appunto ipotetica.

Per capire effettivamente come le misure indicate nel Piano verranno attuate si dovrà ora aspettare che venga attivata la struttura di governance prevista dal Piano stesso, tra cui la creazione di un Osservatorio Nazionale per l’Adattamento, che dovrebbe entrare in attività entro la prima metà del 2025 e coordinerà l’attuazione delle misure. 

 

di Anna Violato – formicablu

Anna Violato è una comunicatrice della scienza freelance che vive a Bologna. Collabora con testate come Nature Italy, Le Scienze e RADAR Magazine, con lo studio di comunicazione scientifica formicablu e con diverse case editrici.

Foto di copertina: Un parco a Londra durante l'ondata di calore di agosto 2022. Fonte: Alisdare Hickson/Climate Visuals