Come rendere più sostenibile un supercomputer

I supercomputer, e i data center che spesso li ospitano, rappresentano il culmine delle attuali tecnologie informatiche. Sono macchine capaci di eseguire miliardi di calcoli al secondo e risolvere problemi complessi, dalle previsioni meteo a vari ambiti della ricerca scientifica, ma è essenziale capire anche qual è il loro impatto ambientale.

Per ottenere la straordinaria potenza di calcolo dei supercomputer serve tanta energia (ma non solo, come vedremo) e dunque non si possono ignorare gli impatti ambientali di queste macchine, specialmente in un’epoca in cui la sostenibilità è una priorità globale. Per capire meglio di cosa si tratta abbiamo fatto qualche domanda a Massimo Alessio Mauri, Facility Manager del CINECA, che ha seguito l’installazione delle ultime dieci macchine bolognesi. Fino a quello che chiama amichevolmente “il garage di Leonardo” cioè il nuovo data center presso il Tecnopolo Manifattura. Leonardo è stato inaugurato nel novembre 2022, alla presenza anche del presidente Mattarella, ed è la settima macchina di supercalcolo più potente al mondo dedicata alla ricerca secondo la classifica internazionale Top 500, che ordina i supercomputer di tutto il mondo in base alla potenza di calcolo.

 

Consumo energetico ed emissioni di CO₂

La prima osservazione di Mauri è che «quelle del supercalcolo sono delle macchine da corsa che devono andare sempre veloci, e per farlo devono assorbire tanta corrente. Leonardo può assorbire fino a 10 megawatt in un’ora [quanto consumano circa 600 case, NdR] ma questi sono picchi, mentre di solito assorbe una media di circa 5,5-6 MW funzionando 24 ore su 24. Quindi la domanda se queste macchine sono sostenibili o no è legittima, ma per ogni watt che il computer consuma, noi che gestiamo il lato facility (cioè tutto quello che serve alla macchina per poter funzionare correttamente) possiamo influire al massimo per un 10-15% dei consumi, quindi è la macchina stessa che deve essere veramente efficiente».

Scopriamo così che per calcolare i consumi elettrici dei supercomputer si usa l’indice PUE (Power Usage Effectiveness), che per ogni watt dato alla macchina dice quanti ne servono per far funzionare tutta l’infrastruttura. Più il numero tende a 1 e più il sistema è efficiente: un PUE uguale a 1 significa che ogni watt viene usato per il calcolo e quindi per la ricerca. Mauri però ci spiega che «ovviamente questo non è possibile: i data center scarsi una volta avevano un PUE di 1,8 mentre adesso quelli nuovi come il nostro stanno fra 1,3 e 1,1. Perché CINECA ha progettato questa macchina insieme ai vendor con una serie di strategie per far sì che, sebbene sia una Ferrari e debba andare veloce, lo faccia consumando meno energia elettrica possibile».

A questo punto, la domanda sorge spontanea: se la “benzina” con cui funzionano tutti i supercalcolatori è l’energia elettrica, da quali fonti proviene? Ci risponde ancora Mauri che sulle coperture del Tecnopolo bolognese sono stati installati dei pannelli solari però «per equilibrare potenze così alte le superfici di pannelli solari dovrebbero essere campi di grano… è un progetto a cui stiamo pensando, ma per ora l’energia elettrica che acquistiamo per Leonardo è certificata 100% verde, la paghiamo di più però la vogliamo certificata da fonti rinnovabili. Se poi ci fosse la possibilità di avere spazio per mettere anche qualcos’altro, come fotovoltaico o agrivoltaico, almeno per le ore in cui c’è il sole sarebbe ancora meglio». L’attenzione sempre maggiore per migliorare le prestazioni energetiche dei data center è attestata anche da un’altra classifica internazionale: si tratta della Green500 (“cugina” della Top500) che riordina i 500 supercomputer più potenti al mondo proprio in base alla loro efficienza energetica.

Il Tecnopolo Manifattura di Bologna.

Sistemi di raffreddamento e risorse idriche

Oltre a consumare energia elettrica, il funzionamento di questi colossi informatici genera anche una quantità significativa di calore, richiedendo sofisticati sistemi di raffreddamento per mantenere le temperature operative sicure. Infatti, se Leonardo assorbe 10 megawatt di corrente bisogna poi raffreddare 10 MW di calore: sempre Mauri ci racconta come funziona il sistema di raffreddamento al Tecnopolo. «La macchina è raffreddata in ogni sua componente con l’acqua, che è molto più efficace rispetto ai sistemi ad aria. Un fattore importante è la temperatura dell’acqua di raffreddamento: più è alta e più il sistema è efficiente, perchè così non dobbiamo installare dei gruppi frigoriferi che hanno dei compressori che consumano. Quindi raffreddiamo il 98% della macchina con acqua in entrata a 36 °C che poi esce a 43 °C, una temperatura che (anche a Bologna) ci consente di non installare gruppi frigo».

Questo uso dell’acqua per smaltire il calore avviene soprattutto in estate o quando la temperatura esterna è alta. Mentre per raffreddare Leonardo dall’autunno alla primavera basta far circolare l’aria con delle grosse ventole che smaltiscono il calore fino a portare la temperatura di nuovo a 36 °C, in questo modo l’energia elettrica consumata è solo quella delle ventole. Inoltre, come ci dice ancora Mauri «se un’estate sarà particolarmente calda, invece che mettere gruppi frigo e consumare di più, caleremo solo per quel periodo la potenza di calcolo, quindi la macchina andrà un po’ più lenta ma consentirà di risparmiare soldi, corrente elettrica e quindi emissioni di CO₂ in atmosfera».

Un elemento importante per ridurre l’impronta idrica di Leonardo è che l’acqua usata per il raffreddamento è a circuito chiuso, ovvero è sempre la stessa che circola nell’impianto; al netto di quella che nel periodo estivo evapora e viene quindi persa. In questo caso l’acqua viene presa sia dall’acquedotto, sia da quattro vasche di raccolta delle acque piovane, dove viene filtrata prima dell’uso.

Consumo di suolo e riciclo dei materiali

Altro fattore da considerare è l’impatto ambientale dell’infrastruttura che ospita un supercomputer come quello del CINECA. Per esempio, l’edificio chiamato “il garage di Leonardo” è una stanza di circa 1000 m², ma per farlo funzionare servono altri 6-7000 m² di spazi tecnici. Mauri però sottolinea che ormai «data center di queste dimensioni si fanno in posti (come il Tecnopolo) dove non vai a consumare ulteriore suolo. Per esempio la stanza di Leonardo è stata fatta dove c’era l’ex manifattura tabacchi, con la tecnica costruttiva “box in the box”, cioè è stato costruito in una scatola dentro a un edificio già esistente. Quindi, sì è stato usato del cemento però non è stata consumata altra superficie, con un totale riuso di manufatti che sennò sarebbero stati abbandonati».

Oltre agli edifici, bisogna valutare anche l’impatto delle strutture fisiche di un supercomputer ovvero l’hardware con cui è costruito, considerando che queste macchine hanno un ciclo di vita abbastanza breve. Infatti, come spiega ancora Mauri, una macchina di supercalcolo della classe di Leonardo «non sta in vita più di 5 anni, ma un sistema di supercomputer è come il maiale: non si butta via niente. Si sa che la macchina che verrà dopo 5 anni sarà talmente più efficiente (ovvero calcolerà più velocemente con lo stesso assorbimento di corrente) che conviene sostituirla. Ma senza gettare via tutto, perché la sua componentistica è altamente riciclabile. Per esempio, dei pezzi vengono dati alle università nostre consorziate per fare lavori più piccoli ma con componenti ancora validi. Oppure l’alluminio e il rame sono riciclabili, anche se anche a riciclare un po’ si inquina perchè ovviamente niente a costo zero…»

 

Certificazioni e ricerca continua

Tutti gli accorgimenti per ridurre, o comunque contenere, l’impatto ambientale di un’opera complessa come un supercomputer sono fondamentali, e ci sono varie certificazioni che ne attestano la bontà. Per esempio, c’è la certificazione LEED (Leadership in Energy and Environmental Design) che valuta la sostenibilità di un intero processo dalla progettazione all’esercizio. Il data center bolognese aveva già ottenuto il livello LEED Gold per la progettazione e dovrebbe raggiungere il Platinum, cioè il massimo per una infrastruttura che certifica come l’intero processo sia sostenibile.

Infine, Mauri aggiunge che per «questi grandi lavori si chiede sempre al Gestore Servizi Energetici l’emissione di certificati bianchi, cioè i titoli di efficienza energetica, e ogni anno ne prendiamo circa 17mila che significa un risparmio di 17mila tonnellate equivalenti di petrolio». Anche per i supercomputer dunque il futuro è nelle soluzioni sempre più sostenibili.

 


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di Sara Urbani – formicablu