Uno studio a cui hanno partecipato anche ricercatori Unibo ha scoperto che i dati storici di fiumi simili ma anche lontani tra loro possono dare informazioni preziose per prepararsi alle alluvioni eccezionali
Le alluvioni eccezionali, che superano ogni record in un particolare territorio prendendo sia gli abitanti che le autorità alla sprovvista, possono provocare danni enormi e perdita di vite umane, come è avvenuto nel maggio 2023 in Emilia-Romagna. Uno studio a cui hanno partecipato anche ricercatori dell’Università di Bologna, pubblicato sulla rivista Nature Geoscience, ha scoperto però che quando si studiano le alluvioni è utile ampliare la propria prospettiva oltre il livello locale o nazionale. Nello studio, ricercatori di oltre 40 diverse università e centri di ricerca in tutta Europa hanno analizzato i dati da oltre ottomila stazioni di rilevamento fluviali. Confrontando i dati storici di fiumi con caratteristiche simili, hanno scoperto che il 95% delle alluvioni considerate eccezionali a livello locale aveva dei precedenti in fiumi simili.
“Questi eventi straordinari sono estremamente rari, ma accadono. E quando si ha l’opportunità di studiare la cosa ad una scala continentale, ci si accorge che in passato eventi analoghi, su bacini analoghi, erano già stati osservati”, ha spiegato a Chiara.eco Attilio Castellarin, Professore Ordinario di Idrologia presso il DICAM dell’Università di Bologna, tra gli autori dello studio. “Lo studio non consente di prevedere quando avverrà un’alluvione o di capire se le alluvioni stanno avvenendo più di frequente. Ma serve per fornire un riferimento per capire, in un qualsiasi bacino, cosa potrebbe succedere nel peggiore degli scenari possibili, per essere preparati. Può avere un’importanza enorme anticipare eventi di grandissime proporzioni quando si vuole guardare la sicurezza idraulica associata ad esempio a una grande diga: abbiamo la necessità di capire cosa può succedere nel peggiore degli scenari possibili, da un punto di vista idrologico e climatico”.
Trovare le somiglianze
Lo studio pubblicato su Nature Geoscience ha analizzato le cosiddette “megafloods” (mega alluvioni): eventi sorprendenti perché di intensità tre, quattro o cinque volte superiore a tutti gli eventi storici precedentemente osservati su un certo tratto di un fiume. L’obiettivo dei ricercatori, che hanno aggregato dati da tutta Europa, era capire se questi eventi siano in effetti delle vere sorprese da un punto di vista idrologico. “Alla scala locale lo sono: colgono di sorpresa e producono danni ingentissimi. Ma quando la prospettiva diventa continentale, questi eventi idrologicamente sorprendenti non lo sono più”, spiega Castellarin.
Il gruppo ha considerato circa ottomila stazioni di monitoraggio su corsi d’acqua europei. Per ogni evento di piena eccezionale, valutato come tale in base alle serie storiche di dati, ricercatori e ricercatrici hanno poi individuato bacini simili, cioè fiumi con caratteristiche analoghe ma magari situati in un altro paese. Questa somiglianza è stata definita in base a quattro parametri: la regione idroclimatica (per esempio quella mediterranea, che ha caratteristiche comuni di temperature e precipitazioni), le dimensioni del bacino idrologico del fiume, la portata media di piena annuale e la variabilità delle piene annuali del fiume. Con questi criteri, si sono potuti confrontare fiumi anche geograficamente molto lontani, i cui dati non sono tipicamente disponibili alle autorità locali.
“Dopo aver trovato degli analoghi idrologici per il bacino di interesse, siamo andati a vedere se riuscivamo a trovare almeno un bacino analogo che storicamente avesse mostrato un valore superiore alla piena record. Nella maggior parte dei casi non se ne trova soltanto uno, ma se ne trovano di più; in alcuni casi, anche decine”, continua Castellarin.
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Cosa manca? Un dataset comunitario condiviso
La direttiva europea sulla gestione del rischio alluvionale, emanata nel 2007, ha armonizzato e reso omogenei gli strumenti e i metodi per pianificare la gestione del rischio da questi eventi estremi. In Italia è stata recepita con un decreto legislativo del 2010 – anche se rispetto ad altri paesi dell’Unione in Italia la consapevolezza sul rischio alluvionale era già alta, a causa della geografia del paese. Dal 2007, comunque, i protocolli per la gestione del rischio alluvioni sono comunitari: ma non è sufficiente. “Manca ancora un dataset comunitario che travalichi i confini tra i paesi”, afferma Attilio Castellarin. “Abbiamo visto, in particolare con questo studio, che è fondamentale poter avere accesso a osservazioni anche di molti anni prima provenienti da paesi diversi dal nostro, ma in contesti idrologici e climatici che sono gli stessi”.
Se i dati locali e nazionali fossero affiancati da dati che allargano la prospettiva al continente, le autorità locali che hanno la responsabilità sui bacini idrici avrebbero più dati e informazioni su cui basare i piani di gestione del rischio. I rischi e i disastri ambientali non guardano ai confini amministrativi: anche i dati ambientali dovrebbero essere condivisi, per aumentare la nostra capacità di prepararci agli eventi estremi.
di Anna Violato – formicablu
Anna Violato è una comunicatrice della scienza freelance che vive a Bologna. Collabora con testate come Nature Italy, Le Scienze e RADAR Magazine, con lo studio di comunicazione scientifica formicablu e con diverse case editrici.
Foto di copertina: Una piena eccezionale del fiume Wansbeck nella cittadina britannica di Morpeth, nel 2008. Foto di John Dal/Climate Visuals (CC BY-SA 2.0)